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Libia, quattro italiani sequestrati

Già al lavoro unità crisi Farnesina

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“Brancoliamo nel buio.  Sempre difficile fare ipotesi a caldo sul chi e sul perché, ma siamo già operativi sul fronte di quest’ennesima emergenza”.

Sono queste le prime dichiarazioni del ministro degli esteri italiano, Paolo Gentiloni, alla notizia, battuta poco dopo le ore 8.40 di oggi, del rapimento di quattro tecnici italiani, nel nord della Libia, più precisamente nei pressi del villaggio di Mellitah. Si tratta di quattro dipendenti della società Bonatti di Parma, che si occupa di costruzioni ma è anche attiva nel settore petrolifero

Mellitah è un centro abitato che, in sé e per sé, poco direbbe agli italiani, se non fosse che nei suoi pressi si è formata una piccola colonia dell’Eni, che ospita gli stabilimenti della  Mellitah Oil and Gas, un' azienda co- controllata, appunto, dal colosso italico e da Noc (National Oil Corporation, azienda nazionale libica): lo scenario del quadruplice rapimento è proprio questa zona industriale, posta a circa 60 km da Tripoli, da cui parte il gasdotto Greenstream che porta il petrolio direttamente a Gela, in Sicilia. Più o meno la stessa zona, che aveva visto il sequestro e il successivo rilascio di un altro tecnico italiano, Marco Vallisa della ditta Piacentini. Parliamo di fatti dello scorso autunno.    

Per il momento non si hanno ulteriori notizie circa l’identità dei rapiti. Com’è ormai noto, dopo la chiusura dell’ambasciata italiana in libia il 15 febbraio scorso, la Farnesina aveva parlato senza mezzi termini di “situazione di estrema difficoltà” nel Paese africano, e aveva invitato i connazionali lì residenti a tornare subito in patria.   

Secondo l’incaricato d’affari dell’ambasciata libica presso la Santa Sede, Rugibani, il rapimento potrebbe essere un “messaggio” rivolto all’Italia dal fondamentalismo islamico. Rugibani, intervistato dall’Adnkronos, non ha neppure escluso che nell’azione si possa leggere una condanna della volontà Onu di comminare sanzioni ai soggetti che si frappongono come ostacolo ad un dialogo tra i due governi libici.

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