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Tunisia, mannaia del governo su moschee

Decisione all’indomani dell’ultimo attentato

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Se l’Isis fa suonare le sue trombe di morte, noi risponderemo apponendo i sigilli ai luoghi dove, spesso e volentieri, il credo islamico si deforma in odio fanatico.

Si può riassumere in questo messaggio sottinteso la decisione che il governo di Tunisi, guidato dal laico Habib Essid, ha preso senza esitare all’indomani della strage di Sousse: ottanta moschee chiuse, in tutto il Paese.

Decisione coraggiosa, e che non sarà priva di rischi per l’esecutivo, oltre che di polemiche al suo indirizzo: le moschee, infatti, sono fuori dal controllo dello Stato, dunque ci si aspetta che qualche imam o qualche comandante jihadista prenda la palla al balzo per scaldare i toni della propaganda, ed eccitare ulteriormente gli animi contro un governo di infedeli che osa ingerirsi nella gestione dei luoghi di culto.

A Sousse, conosciuta in italiano come Susa e nota nei tempi antichi col nome di  Hadrumetum (è la città dove l’imperatore romano Vespasiano, quand’era proconsole d’Africa, si beccò delle rape in faccia durante una visita, come racconta Svetonio), si è consumata, all’esordio dell’estate, una nuova strage “turistica”, dopo quella di inizio primavera al Museo del Bardo di Tunisi.

Stavolta, però, niente sfondo museale, anche se Susa ospita il secondo museo archeologico più importante della Tunisia, dopo, appunto, quello, del Bardo, e, a dirla tutta, parecchi dei mosaici qui esposti provengono proprio da Susa. Con una scelta assolutamente consona alle abitudini stagionali, lo Stato Islamico, com’è noto, ha deciso di “scendere in spiaggia”, facendo strage di inermi bagnanti.

Kalashnikov contro turisti stranieri che riposavano sotto gli ombrelloni e sulle sdraio: clienti di un resort di lusso a Port El Kantaoui, quartiere balneare di Sousse. Il terrorismo islamico ha profanato anche l’incantevole golfo di Hammamet.

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