La vita di Mohammed Emwazi e quella della sua famiglia. Un vero e proprio romanzo, d’avventura. O magari criminale. Che si legge come un appassionante feuilleton, ma dalle uscite ravvicinatissime. Neanche il tempo, infatti, di far digerire le rivelazioni del sul retroterra di militanza qaedista di Jihadi John, che subito il Daily Mail fa concentrare l’attenzione dei suoi lettori sul padre del ventisettenne boia informatico.
Jasem Emwazi, cinquantun anni. Nato in Kuwait da una famiglia di beduini, e beduino egli stesso prima di arruolarsi in polizia. Scappò dalla sua patria perché accusato di essere un collaborazionista del regime di Saddam Hussein. Quando, il 2 agosto del 1990, il dittatore di Baghdad decise di invadere il Kuwait rivendicandolo come provincia irachena, c’era naturalmente una minoranza di militari e agenti kuwaitiani che facevano da quinta colonna all’invasione (e alla probabile annessione) del loro Paese da parte delle truppe del raìs. Di questa minoranza faceva parte anche Jasem: a lui e agli altri collaborazionisti, una volta che, nel gennaio ’91, a Kuwait City gli americani e i loro alleati ripristinarono l’emiro Jabir III, non rimase che prendere la via dell’esilio volontario. Jasem scelse l’Inghilterra per sé, per sua moglie e per suo figlio Mohammed, che allora aveva solo tre anni; il Paese, cioè, che, dopo gli Stati Uniti, era stato il maggior responsabile della restaurazione dello status quo in Kuwait e quindi di quello stato di cose che lo aveva portato all’espatrio. Era il 1994: ancora non sapeva, in realtà , che stava crescendo in casa una serpe per l’Occidente intero. Ma forse Mohammed è diventato Jihadi John anche per vendicare le sofferenze che l‘Occidente ha fatto patire al padre.