Dopo il caso Brown, un altro caso simile, ma in realtà precedente ad esso. Quando, infatti, nell’ormai famoso sobborgo di St. Louis, e cioè Ferguson, Darren Wilson sparava a freddo al teppistello nero (o presunto tale) appena diciottenne, da poco meno di un mese in un altro angolo degli Stati Uniti, Staten Island (quartiere di New York), un altro afroamericano, Eric Garner, “diversamente ragazzo” (quarantatré anni), era già stato vittima della polizia “bianca”. Niente armi da fuoco, però, quel giovedì 17 luglio: come mostrano anche le ricostruzioni video, il corpulento ragazzo fu fatto oggetto di un vero e proprio agguato, in aperta strada, da parte di alcuni poliziotti. Dopo che fu immobilizzato, uno di essi, l’italo-americano Daniel Pantaleo (che ha invece quasi la stessa età di Wilson, ventinove anni), lo prese per la giugulare e lo soffocò. E, forse, proprio la mancanza di spari ha fatto scivolare quest’altrettanto esecrabile vicenda in secondo piano nell’attenzione mediatica.
Qual era la colpa di Brown? Scappare di fronte ad un’autorità bianca, che gli intimava l’alt (dando per scontato che la versione di Wilson, che parla di una colluttazione tra lui e il ragazzo, sia troppo “soggettiva”)? E qual era la colpa di Garner? Vendere sigarette di contrabbando per poter campare, e cercare di dimenarsi dalla presa del braccio armato della legge bianca, che voleva condurlo in prigione? In un caso come nell’altro, i tribunali hanno comunque dato ragione alla polizia: Wilson, come si è già scritto, l’ha fatta franca il 25 novembre grazie alla benevolenza di un Gran giurì di St. Louis composto in buona parte da “fratelli di colore”; a Pantaleo ha dato invece ragione il Gran giurì di Long Island, anch’esso di orientamento “legalitario”, il 3 dicembre.
Per il popolo nero d’America, inutile dirlo, l’assoluzione di Pantaleo è stata un ignobile bis di un sopruso non ancora digerito. Ma chi si aspettava che ad una sentenza-bis seguisse una reazione-bis, fatta di violenze e disordini, è stato servito: la comunità afroamericana ha dimostrato di poter mettere in atto una risposta migliore della giustizia parziale che impera nella grande democratica America. Proteste pacifiche, all’insegna di messaggi eloquenti, ma senza fibrillazioni (anche se non sono mancati gli arresti di massa). Come a Times Square, cuore di New York, dove frotte di manifestanti si sono sdraiati per terra come se volessero simulare la loro morte. E mentre alcuni ripetevano le parole che Pantaleo avrebbe pronunciato mentre già aveva le mani sul collo di Garner, “Questo lo finiamo oggi”, altri gridavano le ultime, disperate parole del povero ambulante, “Non riesco a respirare, non riesco a respirare”. Scene molto simili si sono viste anche in altre zone di Manhattan, così come a Seattle, a Oakland, a Washington. Intanto, mentre il dipartimento di Giustizia, sull’onda delle proteste, promette un’indagine più a fondo sulla vicenda (con la benedizione di Obama), l’autore del video che ha documentato l’agguato a Garner e il suo omicidio è stato incriminato.