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Isis, emiro di Mosul ucciso da ignoti?

L’annuncio di Al Arabiya

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Emiro: nella religione e nella società islamica, qualsiasi comandante o regnante di grado inferiore al califfo. Ne consegue che, soprattutto nell’Isis, il movimento-Stato che si proclama, appunto,  Califfato, c’è un unico grande Califfo (Al Baghdadi) e una pletora di emiri, come a dire di comandanti in seconda. Il Califfo, proprio come Al Baghdadi (per non parlare dell’ormai mitico bin Laden), è per definizione, il comandante che non può morire o che muore dopo essere rimasto l’ultimo uomo ad opporsi al nemico (a meno che non venga tradito, cosa esecrabile); l’emiro, invece, che non è un successore di Maometto, è sì un generale, ma uno di quei generali che deve sacrificare la vita insieme ai suoi soldati. Ed è proprio  la sorte che, il 26 novembre, è toccata all’emiro del versante ovest di Mosul (l’indicazione geografica era parte integrante del suo titolo ufficiale), Abu Shehib al Suri, anche conosciuto come “il siriano” (Suri, in realtà, significa proprio questo). Ciò che rende degna di nota la morte di al Suri è il fatto che questi non è stato eliminato né nel corso di un’azione congiunta di peshmerga e di soldati americani né durante un raid della grande coalizione internazionale: secondo Al Arabiya, che ha dato la notizia, a firmare la sua uccisione è stato, infatti,  un commando di combattenti di origine ignota, che è riuscito ad irrompere all’improvviso nella  capitale irachena dell’Isis, Mosul, superando quello che probabilmente era un presidio impreparato o poco nutrito.    

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