Caso Brown, niente rinvio a giudizio per Wilson
Esplode la rabbia dei neri d'America

Darren Wilson non sarà incriminato. La decisione del Gran giurì della contea di Saint Louis in merito al delitto Brown arriva martedì 25 novembre e sembra piuttosto ponderata: è maturata, infatti, dopo un’attenta analisi delle deposizioni di ben sessanta testimoni, oltre che dello stesso Wilson; ma il collegio giudicante, composto da dodici persone (nove delle quali di razza bianca, è bene ricordarlo), ha studiato con attenzione anche i referti delle autopsie e i documenti audio, come le dichiarazioni rilasciate ad una radio, a pochi giorni dall’accaduto, da una donna che si è detta amica di Wilson e che si è presentata come Josie. Nella sua ricostruzione dell’accaduto, Josie ha lasciato chiaramente intendere che Wilson ha agito come ha agito (ha sparato a morte il ragazzo, che ella dipinge in sostanza come uno sbandato dedito ai furti) perché Brown lo aveva colpito e lo stava minacciando.
Insomma, non ci sono prove sufficienti per scardinare la tesi secondo cui Wilson avrebbe agito per legittima difesa; anzi, parecchi elementi convergono nella direzione opposta, cioè nell’avvalorarla. La comunità afroamericana di Ferguson non l’ha presa bene: già prima della lettura della sentenza del Gran giurì, davanti al Palazzo della Corte era stato necessario disporre un folto schieramento di poliziotti in tenuta antisommossa. Stavolta, però, i moti di protesta che puntualmente sono scoppiati, non hanno riguardato solo Ferguson: in poche ore si sono estesi a tutti gli States. Da Washington a New York, da Los Angeles a Seattle a Philadelphia a Chicago a San Francisco a Boston: dappertutto il black people è sceso in piazza, contro una giustizia discriminatoria, pre-secessionista, per la quale, nonostante tutto, quella metà di America da cui pure è uscito l’attuale Presidente continua a non avere alcuna importanza sociale, nessun valore umano. “La violenza non può essere giustificata in alcun modo”, ha detto Obama dopo le prime notizie di scontri: ma da che parte sta?, si sarà chiesto qualche nostalgico delle Pantere nere. Dopo più di quarant’anni, in effetti, i neri d’America restano ancora imprigionati tra due modelli: la disobbedienza civile di tipo gandhiano, predicata da Martin Luther King, e la lotta di liberazione di tipo terroristico, quella di Malcolm X. La prima, pur senza nascondersi i dolori e i sacrifici, punta all’integrazione; la seconda è solo rabbia e odio, sentimenti che possono rimanere assopiti per molto tempo, ma sono sempre pronti a risvegliarsi, violentemente, al momento più opportuno. Da un lato ci sono i genitori “devastati” di Michael Brown, che appassionatamente, ma civilmente, esprimono il loro rammarico per una decisione che fa sì che “Wilson non risponda delle sue colpe”; e i tanti che, nel nome loro e del figlio che è morto, vogliono levare la loro protesta, rumorosamente ma in modo costruttivo. Dall’altro ci sono i numerosissimi altri “fratelli neri” che, sentendo le parole del signor e della signora Brown, decidono di cercare i disordini di piazza e lo scontro fisico, e quindi il sangue, per farsene paladini. Quando il popolo dei neri d’America si muove per far sentire la sua voce contro i soprusi ricevuti dai bianchi, lo spirito di Martin Luther King e quello di Malcolm Xsi risvegliano sempre insieme: ma marciano sempre separati. Così, mentre a New York cortei spontanei mandavano in tilt la città con l’invasione di Times Square e la chiusura al traffico dei tre ponti principali (quello di Brooklyn, di Manhattan e di Triborough), in perfetto stile da disobbedienti non-violenti (così come succedeva negli altri luoghi di protesta, lontani dal Missouri, a parte Oakland, quartiere di San Francisco ), a Ferguson e nei sobborghi vicini scoppiava la guerra civile: nel quartiere di Brown, dieci edifici sono stati dati alle fiamme, ed esplosi centocinquanta colpi di pistola, alcuni dei quali contro una troupe della Bbc: un poliziotto ferito, trenta persone arrestate. Raddoppiato a San Louis il numero di effettivi della Guardia Nazionale; e, sopra la contea, disposta l’istituzione di una no fly zone. Anche a Unversity City, a non molta distanza da Ferguson, si è registrato il ferimento di un agente. No justice, no peace: da un angolo all’altro di Ferguson, risuona il grido di battaglia del reverendo Sharpton, che si è subito messo alla guida dei fratelli neri in rivolta (almeno delle frange meno facinorose): la polizia, intanto, diffondeva foto in cui si vede Darren ferito dopo uno scontro con Brown.