Per la maggior parte della stampa americana e per molti osservatori internazionali si tratta del duello per la Casa Bianca più povero di contenuti mai visto negli ultimi vent’anni.
Sotto molti aspetti dipende anche dal fatto che, se Donald Trump appare a dir poco impresentabile, Hillary Clinton non è certo molto più amata. Sembra quasi che i cittadini Usa, in questo momento storico di grandi tensioni e paure, siano chiamati a scegliere il meno peggio come loro 45° presidente. Manca anche un vero carisma, e mancano inoltre motivazioni di tipo “dinastico”, per così dire. Caratteristiche reperibili invece nelle altre sfide presidenziali combattutesi dall’inizio di questo secolo. Così nel dopo-Clinton (inteso come Bill, naturalmente, correva l’anno 2000), ad un Al Gore idealista ed ecologista, ma troppo legato ad un presidente che, con una storiaccia di sesso orale, aveva buttato alle ortiche il ricordo di otto anni illuminati, si opponeva un George Walker Bush desideroso di vendetta per la sua famiglia (il padre, infatti, George Herbert, aveva visto sfumare il suo bis alla Casa Bianca proprio a causa dell’irresistibile ascesa del governatore dell’Arkansas). In seguito Barack Obama, promessa vivente di cambiamento, avvento messianico sulla scena della politica americana, era riuscito ad imporsi in modo dirompente, e prepotente, sia nel 2008, contro un solido McCain ma troppo poco mediatico (tuttavia la vera sfida l’aveva già vinta alle primarie democratiche, quando era riuscita a stracciare proprio Hillary Clinton), che nel 2012, oscurando l’insidioso ma non temibilissimo Mitt Romney.
E adesso? La Clinton, in pratica, ci riprova, visto che, in fondo, tornare alla Casa Bianca da presidente è il suo sogno da quando l’ha lasciata nei panni di first lady. Trump, invece, imprenditore versatile, uomo dalle molteplici esperienze oltre che molto ricco, specialista delle cadute rovinose e delle risalite audaci, vuole aggiungere alla sua collezione di grandi avventure la conquista del governo del suo Paese. Da una parte, quella della Clinton, c’è una forte ambizione sostenuta da un indubbio profilo politico; dall’altra, quella di Trump, c’è, naturalmente, la medesima ambizione che però fa leva sul fascino del dilettante della politica, sicuro di poter dare ugualmente una direzione precisa al Paese, così come ha sempre saputo darla alla sua vita e ai suoi affari. I due primi faccia a faccia sono già andati; fra poche ore ci sarà il terzo che potrebbe essere, magari, quello decisivo. Riepiloghiamo brevemente i primi due.
27 SETTEMBRE, HOFSTRA UNIVERSITY DÌ LONG ISLAND. La Clinton ha esordito parlando di una distribuzione della ricchezza più giusta, e non soltanto a favore dei maggiorenti, sulla scia di quanto fatto dal 2008 in poi. Trump ha replicato annunciando un taglio robusto della pressione fiscale interna dal 35 al 15% (<l più importante sgravio fiscale dai tempi di Reagan>>, ha sottolineato) e una rinegoziazione degli accordi commerciali internazionali per cui molti paesi esportatori non pagano tasse in territorio Usa. Si è quindi difeso dall’accusa di non aver ancora pubblicato la sua dichiarazione dei redditi dicendo che è ancora in stato di revisione (<<Sono sottoposto regolarmente da quindici anni ad una revisione dei conti>>), ma ha promesso che la pubblicherà non appena la Clinton farà saltar fuori le sue 33.000 mail cancellate al centro dell’ormai celebre mail-gate. La replica della Clinton: Trump non paga tasse federali da anni, soprattutto quella sul reddito, quanto al traffico di posta gestito con il suo account privato è un errore per i quale ha già fatto ammenda, e di cui si prende tutta la responsabilità. Capitolo sicurezza: per Trump serve legge e ordine (law & order), per la Clinton una considerazione sociale più complessa che tenga conto anche della troppa facilità con cui le persone hanno accesso alle armi in America. Politica estera: per la Clinton non si può prescindere dalla collaborazione internazionale, per Trump è necessario invece addirittura superare la Nato.
10 OTTOBRE, UNIVERSITA’ DI ST. LOUIS, MISSOURI. I due sfidanti rispondono alle domande di un pubblico selezionato, oltre che a quelle dei ue conduttori. Trump esordisce con lo stesso tema (che è poi anche una formula) con cui aveva chiuso il primo dibattito, “Tornare a far grande l’America”. Poi deve necessariamente soffermarsi sulla faccenda dei video sessisti che avevano fatto scandalo nelle settimane precedenti al dibattito (<<Quegli apprezzamenti - su attrici conosciute sul set di una trasmissione, ndr - erano chiacchiere da spogliatoio come se ne fanno tante, ma sono ininfluenti a livello politico>>). La Clinton lo stuzzica anche sulle sue “bucce di banana” razziste (per molto tempo Trump ha negato che Obama fosse cittadino americano). Il candidato repubblicano risponde tornando ad impugnare la questione delle 33.000 mail cancellate dalla sua sfidante , ai tempi in cui era segretario di Stato di Obama. Riforma sanitaria: per Trump è completamente da bocciare, per la Clinton non si può tornare al sistema precedente. Capitolo islamofobia: per Trump è necessario distinguere tra musulmani buoni e musulmani cattivi, e chiamare il problema col suo nome, terrorismo radicale islamico. Ribadisce inoltre il suo sì ad una moratoria per l’ingresso di nuovi islamici negli Usa. Clinton: non siamo in guerra con l’Islam, ma chiediamo all’Islam di darci una mano contro il terrorismo dell’Isis. A proposito dell’Isis Trump osserva poi come sia opportuno l’aiuto della Russia per combatterlo. Pressione fiscale: Trump ribadisce la sua intenzione di abbassare le aliquote fiscali. Per la Clinton si tratta di una manovra che avvantaggerà solo i ricchi, e non le classi medie. Guerra in Siria: Trump ribadisce l’utilità di allearsi con la Russia, ma anche con Assad, perché la minaccia per gli Usa è l’Isis ma non il regime di Damasco. La visione della Clinton resta invece quella di una guerra condotta al fianco delle popolazioni siriane oppresse e senza trascurare il ruolo dei curdi, come avviene anche in Iraq. Ultime domande per entrambi: pensate di diventare i presidenti di tutta la popolazione degli Stati Uniti? La risposta di Trump: sarò il presidente che rappresenterà tutti, senza false retoriche. La risposta della Clinton: ho già dato garanzia di battermi anche per le minoranze. C’è qualcosa dell’uno che piace all’altro? Clinton: i figli di Trump, che dicono molto dell’uomo. Trump: il carattere volitivo di Hillary, il suo essere una combattente nata.
E stanotte? Si chiude a Las Vegas, università del Nevada (ore 3.00 italiane). Per il momento i sondaggi premiano la Clinton. Il primo confronto, infatti, si è concluso sostanzialmente con un 1-0 per la candidata democratica, e più o meno con lo stesso risultato è finito anche il secondo. Probabile che il trend clintoniano venga rispettato anche in questo terzo dibattito. Ma da qui al voto dell’8 novembre l’ ex first lady non può certo dire di aver già vinto. Al momento opportuno, è ragionevole pensare che i voti che hanno proiettato Trump fino alla sfida finale torneranno a far sentire il loro peso. In fondo, quest’ultimo ha vinto contro avversari ben più quotati come Cruz e Bush III (e di certo lo ha favorito la rinuncia di Bloomberg a scendere in campo), mentre la Clinton ha dovuto faticare e non poco a spuntarla contro Bernie Sanders, vecchio esponente della sinistra più radicale (e contro Obama, lo ricordiamo, nel 2008 aveva perso). Inoltre ci sembra che Trump possa farsi forte di un effetto-Obama al contrario: mentre il futuro presidente afroamericano nel 2008 si trovò ad essere investito da una prodigiosa forza di attrazione positiva, carismatica, che lo rese il candidato più amato e più da votare non solo negli Stati Uniti, ma quasi in tutto il mondo, Trump è, all’estremo opposto, il candidato più odiato, capace non solo di dividere l’elettorato Usa e l’opinione internazionale, ma addirittura il suo stesso partito, che è sempre sul punto di disconoscerlo. Alla lunga questa sua condizione di “rinnegato”, e quindi anche di “demonizzato”, potrebbe far breccia su chi ama gli anticonformisti e i disprezzati che pagano il loro carattere fuori dalle righe. Insomma, Donald the billionaire ha in questo momento tra le mani una forza di attrazione anti-obamiana, ma potente come quella obamiana.