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Migranti, rivolta a Lesbo

A pochi giorni da visita papale

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Sfidare la sorte.

Lo fanno i tanti migranti afro-asiatici, nel momento stesso in cui decidono di abbandonare i loro martoriati Paesi, verso un Occidente di speranza. O quando, stanchi delle condizioni di vita precarie che sono costretti a subire nei campi di accoglienza in cui vengono parcheggiati lungo le coste del Mediterraneo, decidono di sollevarsi. Farlo nel campo di Moira, nell’isola di Lesbo, ha ancora più senso, alla luce del significato che la parola “moira” in effetti ha, in greco antico: qualsiasi vocabolario per il liceo può confermare che vuol dire proprio “sorte, destino”.

Non è passato chissà quanto tempo dalla visita di papa Francesco nell’isola greca che fu cara a Saffo. Fu, certo, una ventata di aria fresca per i rifugiati approdati in quei lidi o, per dirla più cinicamente, un’occasione per farla un po’ cambiare, quell’aria viziata e surriscaldata sopra tanti uomini e donne disperati. Senza dimenticare i bambini, sempre al primo posto nel cuore del pontefice.

Poi, dopo i baci e le carezze, dopo le preghiere e le parole a far da medicina per le anime, ripartito il papa (con qualche fortunato prescelto al seguito, 12 come gli apostoli), le tensioni sono tornate quelle di prima: un misto di angoscia, oltre che, in fondo, di odio per la propria sorte (moira). Sospesi nel timore di essere ributtati indietro, di essere rispediti in Turchia: situazione insopportabile, insostenibile per molti degli oltre 3000 profughi attualmente ospitati nel campo. E così la tensione ha rotto gli argini.

Le prime notizie relative alla rivolta, raccolte dall’ Agi, sono state diffuse alle ore 19.50 di ieri: l’agenzia, che basava le sue informazioni su fonti delle forze dell’ordine, ha riferito che i disordini si sono propagati dal settore del campo riservata ai minori non accompagnati, dopo che alcuni ragazzi avevano aperto un buco nella recinzione che li separava dagli altri settori. Nel giro di poche ore, i social network hanno poi smentito le rassicurazioni della polizia circa il fatto che non si contavano feriti.

Gli aggiornamenti piovuti su Internet, corredati naturalmente di foto di persone messe in salvo da un incendio scoppiato nella zona della rivolta, descrivevano infatti una realtà diversa, quella più autentica. Fatta di scontri veri e propri tra profughi e poliziotti, costretti ad utilizzare anche gas lacrimogeni. Di certo, però, gli osservatori più acuti non avevano potuto fare a meno di notare che l’atmosfera si era fatta avvelenata sin dal pomeriggio, quando la visita a Moira del ministro greco per l’immigrazione, Muzalas, era stato accolta con lanci di bottigliette d’acqua. L’atto “spartachiano” serale è stato quindi il culmine violento di un vero e proprio dies irae.

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