Mai dare per morto Boko Haram.
A suonare le campane a morto per gli islamisti nigeriani era stato il vescovo di Maiduguri (la loro roccaforte) già nel novembre 2015 (“La piaga di Boko Haram finirà presto”), e, solo qualche giorno fa, ci si apprestava a celebrarne un nuovo funerale (magari quello definitivo, si poteva pensare), dopo lo scioccante video pubblicato su YouTube in cui uno dei líder maximi diceva di sentire "la fine vicina” e di essere “pronto alla resa”. Qualcuno deve aver equivocato: la fine in realtà riguardava solo quel líder, il resto del movimento armato, invece, è ancora in forze, vivo e in grado di poter lottare con e al servizio di Allah.
31 marzo 2016, Boko Haram si ricomincia. E se non è strage di civili, allora è certamente un’offensiva che mutila le forze armate di uno dei paesi in guerra contro il cugino africano dell’Isis. E se non è il Camerun ad essre colpito, e se non è neanche la Nigeria, allora di sicuro si tratta del Niger. È proprio così, infatti. Sei soldati nigerini di un convoglio sono stati uccisi e altri tre sono rimasti feriti in un’imboscata dei jihadisti di Maiduguri nel sud-est del Paese. Ne dà conto il ministero dell’Interno del Niger. L’attacco è avvenuto all’alba a circa 20 km da Diffa, che è il capoluogo del dipartimento e della regione omonimi.
Da mesi, ormai, la città è diventata la meta di tanti sfollati dei Paesi circostanti che fuggono proprio dalle milizie di “coloro che proibiscono l’istruzione occidentale” (Boko Haram significa proprio questo). Si calcola che, allo stato attuale, i rifugiati a Diffa e nella sua provincia siano più di trecentomila.

