Ebola, due estati fa.
Ma sembra già quasi un secolo fa. Dalla “peste nera” dell’estate 2014-primavera 2015 alla “dengue viaggiante” di questo inverno 2016. Zika: un virus salito ora agli onori delle cronache perché responsabile di una spaventosa e rapidissima epidemia nell’America Latina (epidemia comunque in corso sin dal gennaio 2014), ma che nasce pur sempre nelle stesse latitudini in cui ha avuto origine l’aids, che ha visto l’alba dell’ebola. E degli altri pericolosissimi cugini: aids, dengue, febbre gialla, encefalite del Nilo occidentale. Non è un caso che il veicolo sia una piccola, terribile zanzara egiziana migrata oltreoceano, la Aedes aegypti.
L’attenzione (e la preoccupazione) per il nuovo flagello è comprensibilmente aumentata da quando, poco meno di una settimana fa, si è registrato, in Texas, il primo caso di contagio umano, dopo un rapporto sessuale. Nei fatti sembra che gli effetti più devastanti lo zika li produca sulle donne incinte: per loro essere affette dal virus significa esporre i loro nascituri a rischi gravissimi. Gli effetti del morbo, accertati per il I trimestre di gravidanza, sono teratogeni. Sarebbero già tremila le donne incinte colpite in Colombia, anche se, dice l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità), il paese più martoriato resta il Brasile, con 4783 casi di bambini affetti da microcefalia e nati, naturalmente, da madri malate.
Intanto il virus continua a conquistare nuovi territori, in tutto il mondo (si sa che in Italia sono già presenti nove casi monitorati di contagio, e nelle ultime ore si è avuta notizia del primo malato di zika in Cina) e giustamente le autorità sanitarie statunitensi hanno innalzato al grado 1, cioè quello massimale, il livello di emergenza collegato alla nuova minaccia sanitaria globale: un fatto, questo, assolutamente rilevante, dal momento che è la prima volta che succede proprio dai tempi dell’ebola. L’Oms, poi, ha dichiarato lo stato di emergenza di salute pubblica internazionale.