Venticinque anni fa.
L’Iraq di Saddam Hussein tentò di annettere il Kuwait e fece scoppiare la Prima guerra del Golfo. Molti Paesi, in segno di condanna nei confronti del governo iracheno, chiusero le loro ambasciate locali, e tra questi anche l’Arabia Saudita. Che non l’ha mai più riaperta. Fino allo storico 1 gennaio 2016.
Venticinque anni dopo. Baghdad riapre la sua frontiera diplomatica a Riad, previa la volontà di quest’ultima di riavvicinarsi all’altra, proprio mentre chiude, e inesorabilmente, a Teheran. È quello che riferisce il sito Internet del canale Al Arabiya, che ha raccolto in esclusiva le prime parole dell’ambasciatore del “disgelo”, Thamer al-Sabhan. Sono tempi duri, angosciosi, insidiosissimi: tempi in cui appare necessario rilanciare una fratellanza panaraba in chiave antiterroristica, e dunque riannodare contatti con Stati soltanto fino a ieri ancora nemici.
La lotta comune all’Isis, in buona sostanza, giustifica la riapertura. In realtà, in questi ultimi lunghi anni dopo il secondo conflitto saddamiano, che ha portato alla caduta definitiva del regime, i due paesi si sono “annusati” reciprocamente più volte, ma, nella seconda metà degli anni Zero, un nuovo governo di Baghdad che sembrava troppo vicino all’Iran sciita e faceva della persecuzione dei sunniti una pratica ricorrente ha rallentato e non poco la marcia di riavvicinamento.
Poi, in un infuocato agosto del 2014 (quello della massima espansione territoriale dello Stato Islamico), è arrivato il governo di pacificazione nazionale di Al-Abadi, che ha fatto da decisivo acceleratore. La decisione di riaprire la sede diplomatica saudita nella capitale irachena era stata presa il 15 dicembre scorso; poco prima di Natale si è avuta la re-inaugurazione, e infine, nelle prime ore del nuovo anno, all'interno di essa è finalmente ripresa l'attività di un ambasciatore di Riad.
Contemporaneamente, il brusco raffreddamento delle relazioni con l'Iran è anch'esso dovuto a questioni legate all'atteggiamento politico saudita nei confronti dello sciismo: com'è noto, tra i 47 presunti terroristi che sono stati decapitati all'inizio dell'anno c'era anche l'imam Nimr al-Nimr, uno dei più importanti leader religiosi sciiti, un "Savonarola col turbante" che avversava appassionatamente tanto la monarchia wahhabita (viveva e operava nell'et dell'Arabia Saudita) quanto il governo di Damasco.
Soltanto poche ore dopo l'esecuzione dell'imam, il popolo di Teheran, in segno di protesta, prendeva d'assalto l'ambasciata saudita, mentre a Mashad, nel nord dell'Iran, veniva incendiato il consolato. Riad, poi, convocava l'ambasciatore iraniano accusando il suo governo di "sponsorizzare il terrorismo": preludio, questo, della decisione che sarebbe stata, cioè ritirare per motivi precauzionali tutto il personale diplomatico dalla capitale iraniana.

