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Enrico Pedace e la magia della montagna con “Petali di spine"

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Autore poliedrico e innamorato delle Dolomiti, ci presenta “Petali di spine", un racconto che fonde storia, fantasia e amore. Un’intervista intensa per scoprire l’uomo dietro le parole, tra sfide creative, passioni personali e il richiamo dell’altitudine.

 


Enrico, è un piacere averti qui. Quando hai maturato l’idea di scrivere un romanzo fantasy? Qual è stato il processo che ti ha portato a scrivere “Petali di Spine”?

È un grande piacere anche per me. 

Io dico sempre che non esiste scrittura senza lettura, per cui credo di poter rispondere che è avvenuto tutto dopo aver letto vari romanzi fantasy. Rimasi affascinato dall’abilità che un autore sviluppa nel ricreare dimensioni surreali, con i relativi personaggi e le relative dinamiche.

Diciamo che ha influito molto il desiderio di conoscere, dopo che la ammirai la prima volta, il segreto che si nasconde dietro il processo naturale dell’enrosadira: il momento in cui, all’alba e al tramonto, le Dolomiti assumono una colorazione rosa acceso. Iniziai a documentarmi e scoprii un bellissimo mondo, fatto di miti e leggende, che ruota intorno a questo evento naturale.

Una vera e propria elaborazione mitologia, custodita dalla comunità ladina che vive tra le valli delle Dolomiti, e descritta in due poemi dallo scrittore austriaco Karl Felix Wolff

Quali sono stati i modelli che ti hanno ispirato?

Sicuramente la figura di re Laurino. Si tratta del re mitologico dei ladini che custodiva uno stupendo e rigoglioso roseto, così vasto da ricoprire le vette rocciose del gruppo montuoso del Catinaccio, situato in Trentino Alto-Adige.

La sua storia incontra quella di una dolce e bellissima fanciulla: Similda, figlia del re dell’Adige. Il nome Similda, in seguito a varie trasposizioni teatrali e rivisitazioni della leggenda, verrà sostituito con quello di Moena: la Fata delle Dolomiti.

Se dovessi parlare del valore che la montagna ha per te, cosa diresti?

La montagna è lo specchio della nostra anima, e pertanto vi possiamo scorgere aspetti profondi del nostro essere, che nella vita di tutti i giorni non vediamo.

Riesce a regalarti un’infinita sensazione di libertà, grazie alla quale è come se ti offrisse la possibilità di tirare fuori il meglio di te stesso.

Parliamo di possibilità, per cui sta a noi scoprire gli strumenti giusti per sfruttarla. E sta a noi, quindi, decidere di tirare fuori il meglio o il peggio di noi stessi.

Quando apprendiamo, dai giornali e dai social, degli incidenti che accadono in quota o sui sentieri si dice sempre che la montagna sa essere insidiosa, vendicativa, pericolosa, ecc… io, invece, dico che la montagna è semplicemente sincera fornendoci tutti i suoi insegnamenti, e da bravi allievi dobbiamo farne tesoro.

Spindemul ha un valore allegorico?

Sì. Premetto che il vero nome è “Spina de Mul” un termine ladino che significa letteralmente: scheletro di mulo.

Nel poema “Il regno dei Fanes”, di Wolff è un potente stregone che assume l’aspetto, rivoltante, di un mulo: il suo corpo si presenta come carcassa equina, in parte ricoperto di carni putride e peli, in parte mostra le ossa del suo scheletro.

Rappresenta la dimensione malvagia della nostra vita, in cui si riflettono: male, oscurità e perversione. 

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