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Pane Nostrum

Un panino su quattro di quelli che troviamo nei supermercati e che mangiamo nelle mense e nelle tavole calde dei self service, è made in Romania

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Era un vanto un tempo saper fare il pane, un arte e chi lo sapeva fare era chiamato  “maestro fornaio”.

Un tempo, appunto. Ora in virtù della convenienza abbiamo il pane “rumeno”.

Qualche tempo fa era apparso un articolo in cui si lamentava la mancanza di fornai in Abruzzo e ora un panino su quattro di quelli che troviamo nei supermercati e che mangiamo nelle mense e nelle tavole calde dei self service, è made in Romania.

Baguette, filoni, pane a fette, pagnotte. Precotto, surgelato o scaldato lo cuociono nei forni di Bucarest, di Timisoara, di Costanza, di Cluj-Napoca.

Costa meno della metà del nostro e dura due anni. 


In Italia, manca una regolamentazione sugli alimenti fatti in loco e alla faccia delle direttive europee, si può vendere  pane confezionato che viene da fuori senza dover scrivere sull'etichetta la reale provenienza del prodotto.

I 24mila panificatori italiani temono questa importazione parallela che ha visto lievitare (passatemi la metafora) il numero delle pagnotte “tarocche” ma legali.

La denuncia viene da Padova, Luca Vecchiato, già presidente nazionale di Federpanificatori :

 

"Tantissimi mangiano pane straniero, tra cui in genere anche quello a forma di baguette francese, e non sanno che è prodotto in Romania o in Bulgaria. Il 20 per cento di quello che viene venduto nei supermercati della città e della provincia arriva da lì. E' pane precotto al quale basta un ultima passata in forno".


Fa impressione che  nella sola Romania si producono ogni anno 4 milioni di chili di pane surgelato a lunghissima conservazione (24 mesi). Il fabbisogno nazionale è basso (in confronto all'Italia che è al quarto posto in Europa dietro a Germania, Danimarca e Austria), e quindi più della metà viene esportato.

In Italia, chiaramente. Si stima che oltre il 25% del pane confezionato ce lo mandino la Romania e altri paesi dell'Est (Bulgaria, Ungheria e Moldavia).

 

In allarme anche la  Coldiretti: "Sono gli effetti della mancanza di trasparenza sul pane in vendita che impediscono al consumatore di conoscere il paese dove sono stati coltivati i cereali, perché non è obbligatorio indicare l'origine in etichetta. All'inizio si delocalizza la provenienza delle materie prime. Subito dopo l'impianto di trasformazione e il laboratorio artigianale".

 

Le importazioni dalla Romania di prodotti a base di cereali sono più che raddoppiate nell'ultimo anno. 1,3 milioni di chili, con un più 136 per cento. Un balzo in avanti, rispetto ai 6.733 miseri chili di dieci anni fa.


La filiera del filoncino rumeno si basa su un abbattimento dei costi di produzione e manodopera che l'Italia non può e non potrà permettersi, si parla del 60%.

Cluj Napoca, 440 chilometri da Bucarest, è la vecchia capitale della Transilvania.

Da lì proviene gran parte del pane che invade supermercati e mense del Nord e Centro Italia.

Così fa anche la Slovenia, che esporta ogni giorno quintali di pane diretto a Trieste e Gorizia.

Il pane dell'Est,è un giro di affari da 500 milioni di euro ma la lievitazione continua a scapito di qualità e sicurezza.

 

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