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Foibe, il massacro “italiano”

Domani il “Giorno del ricordo” a memoria degli eccidi in Istria e Dalmazia

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Le foibe, caratteristiche aperture del terreno verso pozzi o caverne verticali tipiche del paesaggio nel Carso e nella Dalmazia da tempo hanno associato il loro nome alle ripetute stragi che si sono tenute tra l'Istria e la Dalmazia a partire dal 1943 da parte dei partigiani dell'Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia contro la popolazione italiana o filo-italiana, al mero scopo di “epurare” più facilmente il territorio, in previsione di un'annessione dello stesso alla futura “nazione dei popoli” slava.

Migliaia di uomini e donne morirono in modo atroce, scaraventati, spesso ancora vivi, con una pietra legata a sé nelle profondità delle foibe, con il solo “crimine” di essere italiani ed essere rimasti nelle loro case, dopo bombardamenti e il passaggio della guerra, che in quelle zone ha visto succedersi il passaggio del fronte molte volte. Un massacro che proseguì a fasi alterne ininterrotto tra il 1943 e tutto il 1945 e oltre, fino alla totale “pulizia” italiana e degli oppositori al regime comunista slavo, dove infatti tra le vittime vennero contati anche molti sloveni e le loro famiglie con posizioni politiche indesiderate. Non solo una repressione “politica” ma “etnica”, che vide anche molti comunisti italiani, colpevoli di non accettare la sovranità slava e difendere la propria nazionalità.

I “principi” di attuazione che hanno spinto i partigiani jugoslavi all'uso di questa ferocia repressiva sono purtroppo diversi e vanno lontano nel tempo, in una terra contesa e variegata di comunità etniche varie, che hanno visto una “italianizzazione” a partire dal 1941 dopo le operazioni militari nei Balcani, spesso operata brutalmente con la distruzione sistematica di case e la deportazione della popolazione in campi di internamento. Il sentimento d'odio contro gli italiani monterà in maniera crescente dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, quando la presenza militare italiana si sfalderà in Istria e Dalmazia, dando vita alle prime vendette e ritorsioni che poi continueranno in maniera crescente con il ritiro progressivo delle forze nazifasciste, azioni che non coinvolgeranno soltanto elementi fascisti ma tutta la popolazione italiana, che verrà poi costretta ad abbandonare in massa la zona istriana.

Un esodo che porterà la popolazione giuliana a spandersi per tutta l'Italia, spesso trattati in maniera abominevole come accadde a Bologna nel 1947 con il “treno della vergogna”, dove militanti comunisti ingiuriarono e minacciarono uno sciopero generale se un convoglio ferroviario carico di profughi istriani si fosse fermato alla stazione. Ignoranza, ideologie e irredentismi opposti uniti ad una convenienza politca e strumentale applicata sia dall'Italia che dalla Jugoslavia fecero sì che i massacri delle foibe presto venissero minimizzati e dimenticati, anche se il numero delle vittime è stimato in oltre cinquemila, di cui per molte non è stato possibile recuperare nemmeno le spoglie.

Per porre almeno fine alla mancanza di memoria sui tragici fatti dal 2005 è stato istituito il “Giorno del ricordo” per il 10 febbraio, una scelta decisa perché il 10 febbraio 1947 l'Italia e la Jugoslavia avevano firmato un trattato di pace che cedeva alcune zone territoriali giuliane alla sovranità slava. Una giornata per commemorare le migliaia di morti istriane e l'incubo dei sopravvissuti ma che, anche a distanza di tanti anni, ancora provoca dileggi e accuse politiche in spregio alle vittime, quando invece sarebbe necessario un confronto aperto e chiaro sulla tragica vicenda. Un confronto che ancora fatica a concretizzarsi e che solo la cultura può far maturare, ci si augura presto.

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