Dopo trent’anni di oblio affettivo, riemerge nelle aule giudiziarie, la storia di una bambina nata da una relazione extraconiugale tra un imprenditore già sposato, conosciuto anche a livello sportivo ed una collaboratrice sul lavoro. L’uomo rimase folgorato dall’avvenenza della dipendente. Nacque una bambina, ma un figlio nato fuori dal matrimonio costituiva un problema per quei tempi. Dopo 30 anni, quella bambina non riconosciuta dal padre, scoperta la verità , ha deciso di agire in tribunale per ottenere, tramite il test del Dna, l’accertamento della paternità e lo ‘status’ di figlia, godere degli stessi diritti, anche ereditari, dei figli dell’uomo nati nel suo matrimonio, e farsi risarcire il danno: 15 milioni di euro, mezzo per ogni anno di abbandono, di mancata assistenza materiale e morale da parte del ‘genitore ombra’, venuto meno agli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione; obblighi assolti al suo posto dal compagno della mamma abbandonata, il quale accettò che una figlia non sua diventasse vera figlia.
L’azione di dichiarazione giudiziale di paternità naturale incardinata in Tribunale ha già registrato una svolta decisiva: la prova biologica portata in giudizio ha rivelato che la 30enne è effettivamente figlia dell’imprenditore. La prova della paternità non è facile, ma se le analisi biologiche sono approfondite, determinano l’attribuzione della paternità con certezza vicinissima al 100%.
Intanto, la svolta fornita dall’esame dei codici genetici ha indotto l’imprenditore (secondo quanto sostiene la controparte) a tentare di correre ai ripari per mettere il patrimonio al riparo. Ci sarebbe stato al proposito anche un tentativo di separazione dell’imprenditore e della moglie, separazione considerata fittizia. Preso atto di queste mosse e contromosse, il giudice ha, per il momento, disposto il sequestro cautelativo di beni riconducibili all’imprenditore per 2-3 milioni, a tutela degli interessi della figlia ormai a tutti gli effetti.