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Le interurbane notturne e il piacere del cinematografo interiore

Lo scrittore Stefano Sciacca recensisce il nuovo libro di Nicola Brizio

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Interurbane notturne è una raccolta di racconti di Nicola Brizio. Al netto della ricca varietà di spunti e di ambientazioni, nel complesso, si tratta di un’opera d’autore. Vale a dire l’opera di uno scrittore che antepone a qualsiasi obiettivo di carattere puramente commerciale la ricerca di uno stile proprio e l’approfondimento di temi personali. 

Per chiunque avesse letto altri testi di Nicola Brizio, apparirà subito evidente la parentela fondata sul comune carattere autoriale delle sue produzioni. Questo giovane scrittore possiede infatti una cifra ben riconoscibile, frutto della dialettica tra le opposte inclinazioni che contraddistinguono il suo atteggiamento nei confronti della materia narrata. Se, da un lato, appaiono chiari il pessimismo, la paura, la nevrosi, l’isteria e la paranoia, dall’altro rifulge un’ironia sottile, appuntita, tagliente benché spesso amara. Ed è appunto da questa poetica dei contrari – per citare Pirandello – che scaturisce l’umorismo delle Interurbane. Quello che, del resto, già caratterizzava L’ossessione della forma, folgorante romanzo distopico, del quale colpisce la netta impronta cinematografica. Attraverso spericolatezze temporali e sconvolgimenti scenografici, Brizio realizzava allora una destrutturazione dello sviluppo degna di Quentin Tarantino, spingendo il lettore alla scoperta di un microcosmo popolato dai personaggi più stravaganti, le esistenze dei quali si intrecciavano tra loro come nel Manhattan Transfer di John Dos Passos – che certa critica avrebbe voluto ricondurre proprio alla tecnica di montaggio elaborata da Sergej Ėjzenštejn e dal cinema sovietico d’avanguardia. E l’avanguardia consiste in una sperimentazione formale che minaccia di alterare i canoni estetici maggiormente in voga, mettendo così in discussione lo status quo non solo a livello ideologico ma, ancor prima, a livello metodologico. 

Brizio, in effetti, è un autore sovversivo che, come un personaggio dei suoi racconti (spesso incentrati sul disagio di intellettuali, pensatori, artisti e creativi), osserva l’evoluzione delle mode, dei desideri, delle nevrosi e poi le plasma, le esagera e le prende in giro nei suoi scritti. I quali, dal canto loro, sono opere pericolose e, forse, non adatte a tutti. Non soltanto per il linguaggio particolarmente diretto, assai disinibito e sovente non proprio politically correct, ma anche e soprattutto per le immagini vivide, forti, talvolta persino raccapriccianti alle quali ricorre il loro autore. Nondimeno, chi abbia abbastanza fegato da addentrarsi nelle atmosfere che Brizio riesce a evocare senza davvero alcun bisogno di perdersi in una selva di parole, viene ricompensato dal piacere suggerito al suo cinematografo interiore, attraverso sensazioni che richiamano alla memoria quelle suscitate da alcuni grandi cineasti. E poco importa che questi fossero presenti o meno nell’immaginario di Brizio mentre creava. Quel che conta è che le sue creazioni meritano di essere accostate alle loro. 

Leggendo la delusione del superstite a una catastrofe passata inosservata all’opinione pubblica si coglie lo stesso sgomento prodotto dall’esasperazione nell’assurdo compiuta dai fratelli Cohen; le vicende di un vampiro omosessuale alla guida del proprio taxi sono contrassegnate del senso di alienazione del Taxi Driver di Scorsese; la storia di un uomo affetto da una rara malattia mentale sessualmente trasmissibile possiede la medesima crudezza dei film di Abel Ferrara; l’incontro del tutto imprevedibile nella toilette di un teatro parigino è una trovata degna del più beffardo e dissacrante Buñuel; nella parabola dissociativa di uno scrittore tormentato dalla propria insignificanza si concretizza un incubo che turberebbe persino Lynch e Polanski. 

Quello delle interurbane è, in definitiva, un distillato di forti emozioni, tutte ugualmente riferibili al male di vivere, individuale e collettivo. E, per quante siano le variazioni su questo tema offerte dalla fantasia di Brizio, il lettore finirà per esserne comunque ebbro, addirittura stordito. Anche grazie all’impatto invasivo della narrazione in prima persona o, per restare alla terminologia cinematografica, alla ripresa soggettiva padroneggiata con autentica maestria da questo giovane scrittore visionario. 

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