Il Parco nazionale della Maiella ha festeggiato i trent’anni dall’istituzione di una nuova colonia di Camosci dell’Appennino sulla Maiella in Abruzzo. Ad oggi rappresenta la colonia più forte e robusta dell’Appennino ma nei primi anni novanta questi splendidi animali erano completamente scomparsi da questo massiccio.
Attualmente sulla montagna madre si contano 1500 camosci, tutti individui in buona salute, grazie al lavoro di biologi e veterinari che da anni lavorano per reintrodurre e conservare questa specie.
Da questo gruppo sono, inoltre, partiti gli esemplari fondatori di altre due colonie nella regione verde del nostro Paese, ossia quella del Parco nazionale dei Monti Sibillini e quella del parco Regionale del Sirente Velino.
La storia di questa colonia segue l’iniziativa antesignana del Parco Nazionale d’Abruzzo, unico parco d’Italia, nel dopoguerra, che conservava una popolazione di camosci dell’Appennino zridotta al minimo.
Tutto ebbe inizio nel 1991, ben trent’anni fa con la Riserva Maiella Orientale, per poi proseguire, con risultati anche inattesi, sotto la regia del Parco Nazionale.
Questo intervento di salvataggio di una specie a rischio è stato possibile anche grazie al sostegno dal paese di Lama dei Peligni (CH), il quale ha contribuito all’istituzione di un’area faunistica dedicata al Camoscio, base indispensabile per le operazioni di reintroduzione.
Si consolidarono le misure di monitoraggio e tutela degli esemplari e si ricorse alla creazione di due progetti Life finanziati dalla Commissione Europea, di cui uni, Life Coornata, venne premiato a Bruxelles come uno dei migliori progetti di conservazione europei.
Lo scorso, 19 agosto, il Parco della Maiella ha accolto e ricordato, attraverso visite guidate e tavole rotonde, tutte quelle persone che hanno contribuito al ritorno del Camoscio sulla Maiella.
Sono cinque i subrecinti in cui è divisa l’area faunistica di Lama dei Peligni per una superficie totale di circa cinque ettari con diverse tipologie di ambienti, dalle pareti rocciose ai boschi, permettono una facile osservazione degli animali. Inoltre a servizio dell’area faunistica c’è un centro veterinario.
A trent’anni dall’inizio dell’operazione di reintroduzione, grazie agli sforzi di conservazione e agli studi, il Camoscio appenninico può ritenersi salvo.

