Partecipa a Notizie Nazionali

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

Se volemo bene… ma restamo a ‘na debbita distanza

Condividi su:

Sono sempre stata curiosa e, quando ero piccola, ascoltavo ed osservavo le cose del mio mondo con molta attenzione e quando non riuscivo ad avere una“risposta” soddisfacente, rubavo con gli occhi.

Ad esempio mio padre non mi ha mai dovuto spiegare come si piantava il tabacco e come s’infilavano le foglie, una volta pronte, per accompagnarle a due diversi modi di essiccazione che portavano a differenti aromi e prezzi.

Il rapporto tra noi è stato sempre così: uno sguardo.

Poi, quando sono andata al catechismo, ho trovato un parroco eccezionale tutto dedito alla preghiera, alla semplicità ed alla sua grande passione: la terra.

Mi ricordo la spiegazione dell’effetto delle fasi lunari attraverso l’osservazione di una sezione del tronco di un albero.

Il suo viso s’illuminavae gli occhi azzurri brillavano mentre la mano accarezzava i cerchi ovvero gli anni dell’albero che si erano composti man mano facendoci notare la sfumatura dei colori.

Lui non comprendeva il piagnucolio degli uomini che deploravano la mutevolezza del tempo perché proprio quello, invece, è il sale della terra che rende gli anelli più marcati e colorati contrassegnando un’annata opulenta.

Cos’è la certezza? Quello che nemmeno ti accorgi, un bel giorno, di non avere più. E’ come una sottile bacchetta di cristallo che hai sempre in bella mostra e godi del suo splendore senza nemmeno accorgertene fino a quando, in un istante, la vedi volare a terra in mille pezzi tra i suoi bagliori che segnano il momento esatto in cui tu la noti.

L’ovvio così ha cominciato a sgretolarsi.

Voci da molto lontano arrivavano ad annunciarci la triste notizia, si loro, perché quando le cose sono brutte, sono sempre degli altri e le ascoltiamo, ci interessiamo, le studiamo, ci ragioniamo, ci offriamo per aiutarli, etc.

Insomma diventa tutto un gran vociare: bene, male, risibile? Non si sa, ma c’è tutto un fiorire di battute e commenti sui mezzi di comunicazione.

Intanto arrivano i “pilastri igienici” per salvarci da quella triste notizia che viene da molto lontano: lavarsi molto spesso le mani, usare igienizzanti, guanti, mascherine e mantenere la distanza di sicurezza.

E’ questo il momento in cui ci torna in mente er sommo poeta Trilussa che l’aveva previsto: “La stretta de mano”.

Quella de dà la mano a chicchessia,

nun è certo un’usanza troppo bella:

te pò succede ch’hai da strigne quella

d’un ladro, d’un ruffiano o d’una spia.

Deppiù la mano, asciutta o sudarella,

quann’ha toccato quarche porcheria,

contiè er bacillo d’una malatia,

che t’entra in bocca e va ne le budella.

Invece a salutà romanamente,

ce se guadambia un tanto co l’iggiene,

eppoi nun c’è pericolo de gnente.

Perché la mossa te viè a dì in sostanza:

“Semo amiconi … se volemo bene …

ma restamo a ‘na debbita distanza”.

Penso che tutti noi all’inizio non abbiamo capito la gravità di quella bomba che ci stava cadendo addosso con tutta la sua forza mortale.

Poi pian piano io, come credo voi, ho iniziato a pensarci su e parlare con me stessa.

I miei primi pensieri erano consci del pericolo ma erano più leggeri, oggi no, non sono più così.

Oggi mi sento in carcere, non posso uscire, non posso entrare …

Mi è vietato anche andare a prendere un caffè.

Dalla mattina, quando mi sveglio, comincia la tortura della goccia dei TG fino a sera.

Sono inezie dice la ragione, ma … in questo caso il tempo non lenisce ma acuisce.

Per non sentire i continui aggiornamenti del TG con il numero dei morti mi sono data alla lettura e tra i vari articoli ho trovato questo pensiero della psicologa e psicoterapeuta Francesca Morelli che mi ha riportato ai profumi della natura che voglio condividere con voi.

“Credo che il cosmo abbia il suo modo di riequilibrare le cose e le sue leggi, quando queste vengono stravolte.

Il momento che stiamo vivendo, pieno di anomalie e paradossi, fa pensare...

In una fase in cui il cambiamento climatico causato dai disastri ambientali è arrivato a livelli preoccupanti, la Cina in primis e tanti paesi a seguire, sono costretti al blocco; l'economia collassa, ma l'inquinamento scende in maniera considerevole. L'aria migliora; si usa la mascherina, ma si respira...

In un momento storico in cui certe ideologie e politiche discriminatorie, con forti richiami ad un passato meschino, si stanno riattivando in tutto il mondo, arriva un virus che ci fa sperimentare che, in un attimo, possiamo diventare i discriminati, i segregati, quelli bloccati alla frontiera, quelli che portano le malattie. Anche se non ne abbiamo colpa. Anche se siamo bianchi, occidentali e viaggiamo in business class.

In una società fondata sulla produttività e sul consumo, in cui tutti corriamo 14 ore al giorno dietro a non si sa bene cosa, senza sabati né domeniche, senza più rossi del calendario, da un momento all'altro, arriva lo stop.

Fermi, a casa, giorni e giorni. A fare i conti con un tempo di cui abbiamo perso il valore, se non è misurabile in compenso, in denaro. Sappiamo ancora cosa farcene?

In una fase in cui la crescita dei propri figli è, per forza di cose, delegata spesso a figure ed istituzioni altre, il virus chiude le scuole e costringe a trovare soluzioni alternative, a rimettere insieme mamme e papà con i propri bimbi. Ci costringe a rifare famiglia.

In una dimensione in cui le relazioni, la comunicazione, la socialità sono giocate prevalentemente nel "non-spazio" del virtuale, del social network, dandoci l'illusione della vicinanza, il virus ci toglie quella vera di vicinanza, quella reale: che nessuno si tocchi, niente baci, niente abbracci, a distanza, nel freddo del non-contatto.

Quanto abbiamo dato per scontato questi gesti ed il loro significato?

In una fase sociale in cui pensare al proprio orto è diventata la regola, il virus ci manda un messaggio chiaro: l'unico modo per uscirne è la reciprocità, il senso di appartenenza, la comunità, il sentire di essere parte di qualcosa di più grande di cui prendersi cura e che si può prendere cura di noi. La responsabilità condivisa, il sentire che dalle tue azioni dipendono le sorti non solo tue, ma di tutti quelli che ti circondano. E che tu dipendi da loro.

Allora, se smettiamo di fare la caccia alle streghe, di domandarci di chi è la colpa o perché è accaduto tutto questo, ma ci domandiamo cosa possiamo imparare da questo, credo che abbiamo tutti molto su cui riflettere ed impegnarci.

Perché col cosmo e le sue leggi, evidentemente, siamo in debito spinto. Ce lo sta spiegando il virus, a caro prezzo.”

Oggi ho fatto mio il giuramento di Ippocrate!

Oggi ho fatto mio il significato delle due medaglie al valore che riportò mio nonno, Cavaliere di Vittorio Veneto, al ritorno dalla guerra come riconoscimento del servizio prestato!

Condividi su:

Seguici su Facebook