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Personal Branding. L'arte di diventare una micro celebrità

Oggi non basta essere bravi. Occorre distinguersi ed essere subito riconosciuti come punto di riferimento

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di Giorgio Nadali

Il Personal Branding è un’attività in forte crescita. Oggi non basta essere bravi per distinguersi sul mercato. È importante diventare una “micro celebrità”, cioè un punto di riferimento. Qualcuno al quale si pensa subito facendo riferimento a un’attività professionale o commerciale. Gianluca Lo Stimolo è un esperto che ha fatto la differenza nel campo della celebrity building e del Personal Branding in Italia.   

Ci parli di Lei….

Amo definirmi un business celebrity builder, un costruttore di celebrità di business. In pratico aiuto imprenditori e professionisti a diventare volti noti del loro settore e ad avere un posizionamento distintivo sul mercato, attraverso strategie e servizi integrati di personal branding.

Sono nato in Sicilia, ma vivo a Milano da più 25 anni e sono padre di una meravigliosa bambina.
Nel corso della mia esperienza professionale ho avuto la fortuna e l’opportunità di curare per tanti anni il marketing e l’immagine pubblica di Roberto Re, celebre coach e formatore. Analizzando quanto di utile avevamo fatto negli anni per accrescerne la fama, ho compreso le regole e le strategie per dare vita a un brand personale. L’elaborazione di queste intuizioni è divenuto il protocollo, ormai applicato a centinaia di imprenditori e professionisti ed è il cuore pulsante, insieme a un team di grandi persone, di Stand Out, l’agenzia che ho fondato circa 5 anni fa e che rimane tuttora l’unica società di servizi integrati di personal branding.

Cos’è il personal branding?

Il personal branding è l’applicazione all’individuo di tutte le tecniche di marketing, comunicazione e branding che solitamente vengono usate per i grandi marchi aziendali. La cosa potrebbe apparire semplice ma in realtà è molto complessa. Mentre un brand aziendale si studia quasi per intero a tavolino, lavorare su un brand personale mette in gioco una serie di valori, sogni, passioni e storie individuali che ne complicano l’attuazione. Il personal branding serve ad avere un posizionamento chiaro sul mercato e soprattutto nella testa dei potenziali pubblici, non solo clienti ma anche partner, fornitori e, più in generale, tutti coloro che hanno un ruolo importante nell’ecosistema del nostro business.

Quali sono i vantaggi che si ottengono affidandosi a un’agenzia di personal branding?

Ciascuno di noi è attento alla propria comunicazione personale, in modo più o meno consapevole. Avere a che fare con un’agenzia significa contare su qualcuno che, in maniera professionale, definisce le leve da usare e gli strumenti da mettere in campo per far sì che la persona diventi conosciuta nel suo ambiente.

Esistono tanti consulenti, formatori e agenzie di web reputation, ma nella maggior parte dei casi questi soggetti si limitano al personal branding digitale e non hanno un approccio olistico. Tuttora, però, la maggior parte dell’autorevolezza si crea offline e magari in seguito si diffonde online. Avere a che fare con un’agenzia dà un grande vantaggio in questo senso, perché fornisce un protocollo integrato.

Quando si fa un lavoro così ampio, che tocca qualsiasi strumento di comunicazione, la principale difficoltà è quella di creare una percezione coerente sul mercato. Quando si fa da soli, spesso la comunicazione appare come un puzzle frammentato e impreciso, in cui manca qualche pezzo. Apparentemente potrebbe sembrare una sottigliezza, ma la coerenza in comunicazione è essenziale: per ottenere risultati bisogna trasmettere un messaggio lineare attraverso tutte le piattaforme, perché qualsiasi incongruenza crea una barriera agli occhi del pubblico.

Il personal branding è consigliato per qualsiasi categoria professionale e settore di attività?

Il personal branding è applicabile a qualsiasi settore di attività e categoria professionale. È ovvio che alcune hanno più vantaggi di altre; i professionisti, in particolare, ne hanno una necessità enorme.

La realtà dei fatti è che bisogna capire se è opportuno fare personal branding oppure no. La limitazione non è quasi mai determinata dal ramo di attività, ma dal vantaggio che l’azienda (in caso di imprenditori) o lo studio (in caso di professionisti) ne può trarre. Non ci si pone mai questa domanda: il fatto di mettere la mia faccia è un vantaggio o no? Normalmente lo è, ma in alcuni casi l’imprenditore si porta dietro un’immagine negativa, dovuta magari a trascorsi legali o semplicemente al fatto che ha già comunicato in tanti settori diversi.

Premesso questo, normalmente il personal branding dà grandi vantaggi, con le giuste differenze tra caso e caso. Poi, si può scegliere una comunicazione più o meno “urlata” in base ai propri obiettivi; a volte l’approccio giusto è quello dell’understatement.

Ha qualche storia significativa di personal branding che ha fatto decollare un imprenditore?

Una delle storie più recenti e che ci ha riservato grandi soddisfazioni è quella di Carlo Carmine, oggi conosciuto come “Il difensore patrimoniale”. Grazie a un posizionamento ben distinto sul mercato è partito da uno studio professionale e ha creato un’azienda che oggi conta circa 60 collaboratori, un network di 110 avvocati, un’importante sede in piazza San Babila a Milano. Insomma ha avuto una crescita che ha quasi dell’incredibile, passando da poche centinaia di migliaia di euro di fatturato a quasi 10 milioni in meno di due anni. È ovvio che un successo del genere è dato da tanti fattori, ma senza dubbio il suo brand personale l’ha molto aiutato.

Un altro caso molto interessante è quello di Daniele Viganò, imprenditore di lungo corso che grazie al personal branding oggi ha raggiunto una soddisfazione e una visibilità sul mercato che (a detta sua!) non aveva avuto nei 15 anni precedenti. Tant’è vero che, grazie alla visibilità conquistata, ha pubblicato un libro con un’importante casa editrice del gruppo Mondadori e ha ricreato un intero sistema di business su un nuovo ambito.

Passando ai professionisti, un caso che ha fatto scuola è quello di Simona Bastari, l’amministratore del condominio felice. Senza ombra di dubbio è l’amministratore di condominio più noto in Italia grazie a un’operazione di personal branding importante costituita da una serie di passaggi: l’elaborazione del concetto stesso di felicità condominiale, la creazione dell’indice che misura la felicità condominiale, la nascita di attività come gli aperitivi tra condòmini che favoriscono l’interazione e riducono i litigi.

Quanto è diffuso il personal branding? Quale ritorno economico e d’immagine è previsto e in quanto tempo?

Il personal branding è una tematica di grido e ha ancora di fronte ampi margini di crescita. In tutte le classifiche internazionali si dice che il personal branding expert sarà il mestiere più ricercato nel prossimo futuro.

Ci si avvicina al personal branding innanzitutto per via del cambiamento che i social media hanno apportato alla nostra cultura: da quando ci sono i social, stiamo tutti molto più attenti a ciò che pubblichiamo e all’immagine che trasmettiamo.

Un altro motivo è legato al fatto che la concorrenza non è mai stata così serrata come in questo periodo storico – e non siamo ancora arrivati alla fine, anzi! A breve, quasi tutte le categorie professionali vivranno una concorrenza globalizzata. Ciò significa che bisogna riuscire a distinguersi sul mercato ed entrare nella testa dei propri potenziali clienti prima ancora che vadano alla ricerca di alternative.

L’altra motivazione è data dal fatto che oggi siamo tutti consapevoli dell’esistenza delle fake news. In realtà sono sempre esistite, ma da un paio d’anni se ne parla parecchio. Fino a quel momento avevamo la tendenza ad accettare qualsiasi messaggio promozionale o contenuto, ma oggi sappiamo che molte notizie vengono inventate ad arte e quindi siamo più diffidenti. Se il messaggio aziendale viene “garantito” dal volto di una persona, tendiamo a fidarci di più.

Il ritorno economico e d’immagine del personal branding può essere immenso, e non lo dico solo perché faccio questo mestiere! Un buon posizionamento personale consente di essere percepito come una business celebrity che non ha eguali nel proprio settore.

 

La verità è che qualsiasi individuo dovrebbe considerarsi come un’azienda, anche se è un dipendente, è in cerca di lavoro o vuole trovare un impiego migliore. In tutti questi casi, dovrebbe stanziare un budget di comunicazione e marketing per apparire nel migliore dei modi possibili sul mercato del lavoro. A pensarci bene, tantissime persone ormai spendono qualche soldo per fare un buon servizio fotografico o sponsorizzare qualche post sui social media, ma spesso mancano un’organizzazione del messaggio e una strategia alla base. Questo è l’errore più grande: focalizzarsi sugli strumenti invece che sulla strategia.

Di certo il personal branding non è un’attività da fare in maniera sporadica, ma una sorta di percorso di vita che richiede un grande costanza nel tempo. La durata di una buona attività non può essere inferiore a un anno e, di solito, i migliori risultati si ottengono nell’arco di un paio d’anni.

Come ha fondato Stand Out Agency e con quale strategia operate?

Nel 1999 mi occupavo del marketing di HRD, gruppo guidato da Roberto Re. In quell’anno Roberto rimase unico socio dell’azienda, per una normale scissione tra soci, e decidemmo di dare rilevanza più alla sua comunicazione personale che al brand aziendale, un po’ perché nell’ambito del training si tende a “comprare” più il trainer che l’azienda, un po’ perché Roberto era ed è ancor di più un grandissimo comunicatore.

Così iniziò questo percorso, anche se all’epoca non immaginavamo che si chiamasse “personal branding”. Lessi il primo articolo su questo tema circa nove anni fa e sul momento rimasi un po’ stordito, perché mi resi conto che era ciò che facevo tutti i giorni, pur non sapendo che avesse questo nome. A quel punto mi venne voglia di saperne di più. Più approfondivo e studiavo, più mi rendevo conto di saperne molto di più di quello che leggevo sui libri, perché erano cose che mettevo in pratica tutti i giorni.

Con il nostro piccolo ufficio stampa interno, decidemmo di provare ad applicare in forma gratuita su alcuni clienti il protocollo di personal branding che avevamo estratto dall’esperienza con Roberto Re. Questa sperimentazione diede importanti risultati e sulla base di essi decidemmo di creare Stand Out, che tuttora è l’unica agenzia di servizi integrati di personal branding. Mi chiedo tutti i giorni come mai non arrivino altri competitor, visto che ad oggi sul mercato ci sono solo consulenti e formatori ma non società di servizi integrati. Probabilmente la risposta sta nel fatto che questa seconda strada impone di padroneggiare una gamma di competenze davvero vasta.

In Stand Out per ogni cliente troviamo un posizionamento distintivo, per poi scegliere gli strumenti con cui comunicare a target specifici e accrescere la sua autorevolezza; fattore, quest’ultimo, tutt’altro che banale, perché determina la reputazione. Anche se negli ultimi anni si parla sempre di più di “economia della reputazione”, c’è ancora un po’ di confusione su questo concetto. Non si tratta soltanto della percezione che gli altri hanno di noi, ma anche e soprattutto della nostra capacità di mantenere la nostra promessa al mercato. Il fatto è che la maggior parte dei professionisti non ha idea di quale sia la sua promessa al mercato! Per questo la definiamo in modo molto netto e preciso, la traduciamo in un’etichetta e poi scegliamo gli strumenti per divulgarla e darle autorevolezza. Questi strumenti possono essere online (siti personali, blog, canali social, marketing automation, lead generation…) ma soprattutto offline (pubblicazione di un libro, ufficio stampa, media relations, eventi, video, servizio fotografico, consulenza d’immagine).

Il personal branding è destinato a soppiantare il marketing tradizionale?

Sono due cose distinte, che procedono fianco a fianco e non si sostituiscono l’una con l’altra. Il personal branding altro non è che l’applicazione del marketing agli individui. Già oggi tanti imprenditori e professionisti applicano le strategie di marketing tradizionale alla loro azienda e, parallelamente, lavorano sul loro brand personale.

Si può fare personal branding autonomamente?

Sì, chiunque lo fa ogni giorno senza saperlo, ma tutto dipende dal livello di professionalità che si vuole raggiungere. Anche per chi ha competenze di marketing, fare personal branding su se stesso è tutt’altro che facile: innanzitutto perché è complicato guardarsi dall’esterno in maniera asettica e oggettiva, e poi perché bisognerebbe avere competenze di web marketing, ufficio stampa, copywriting, strategia, execution, etc…  

Ci convinca in tre punti ad avvalerci del personal branding.

Io credo che chiunque voglia lasciare un segno in questo mondo. Per la maggior parte delle persone magari ciò significa fare un figlio, ma tanti desiderano anche lasciare una testimonianza di ciò che hanno creato in termini imprenditoriali e di innovazione. Memi e non solo geni. Moltissimi imprenditori, non a caso, iniziano a fare personal branding quando hanno già raggiunto grandi risultati e hanno la necessità quasi fisiologica di ricevere un riconoscimento.

Il secondo motivo invece è più legato al business. Fare personal branding aiuta a lavorare meglio, uscendo dalla guerra dei prezzi: le persone scelgono te perché sono convinte del fatto che tu sia la migliore risposta possibile alla problematica che stanno vivendo. Per giunta, se sei considerato una persona autorevole attrai i migliori clienti, fornitori e partner, innescando un circolo virtuoso per il tuo business.

L’ultima motivazione, infine, è di natura “filosofica”. Ciascuno ha le sue credenze spirituali e molti credono di essere finiti sul pianeta Terra per caso, ma io penso che, se siamo qui, forse è perché possiamo fare qualcosa per qualcun altro. C’è qualcuno nel mondo che ha bisogno del talento che solo noi abbiamo: è un nostro dovere fargli sapere che esistiamo e che possiamo aiutarlo.

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