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La Repubblica, finisce l’era Calabresi

Il terzo direttore di largo Fochetti lascia il posto a Verdelli

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Più o meno come i segretari del PCI.

I direttori che si sono avvicendati alla guida de la Repubblica, dal 1976 ad oggi, si possono contare sulle dita di una mano. Dopo il ventennio di Scalfari, il Fondatore, che nella storia del quotidiano equivale a Bordiga, Gramsci e Togliatti messi insieme, iniziò un altro ventennio, quello di Ezio Mauro, un po’ il Luigi Longo di largo Fochetti: seppe, infatti, essere fervente partigiano su quel fronte trasversale della resistenza anti-berlusconiana inaugurato dall’ex procuratore di Milano, Borrelli, nel 2002.

Poi, nel 2016, proprio quando la testata si apprestava a spegnere le quaranta candeline, Mauro, già inviato di prestigio de La Stampa, passò il timone ad un altro giornalista maturato sulle colonne del quotidiano torinese, Mario Calabresi (che però in Repubblica aveva già avuto ampi trascorsi, come lo stesso Mauro prima di prenderne la guida). Sembrava compiersi quel trapasso  da una vecchia generazione ad una nuova, emergente, proprio com’era avvenuto alle Botteghe Oscure quando Longo passò il testimone ad Enrico Berlinguer.

Ma Calabresi era anche altro: lui, infatti, figlio primogenito del commissario Luigi, vittima di Lotta Continua, rappresentava quel mondo post-ideologico che, nato dalle brutture e dalle storture degli anni di piombo, ha avuto la forza di mettersi in pace con un passato personale di sofferenze e di guardare avanti, fiducioso nel futuro della democrazia. Moderato per natura, Calabresi avrebbe propugnato la “terza via” dell’informazione a sinistra, tra intransigenza ortodossa ed elitarismo radical chic, pronto a un “compromesso critico” al di fuori degli steccati. Ma sarebbe durato altri vent’anni, come i suoi predecessori? Chi ci aveva scommesso ha perso i soldi. 

Dopo tre anni finisce la mia direzione. Lo hanno deciso gli editori. Ho l’orgoglio di lasciare un giornale che ha ritrovato un’identità e un’idea chiara del mondo. I lettori lo hanno capito, la discesa delle copie si è dimezzata.

Così, su Twitter, Calabresi ha annunciato seccamente, ai followers e ai lettori di Repubblica,  che si è conclusa la seconda esperienza da direttore della sua carriera. Anche in così poco tempo, comunque, è riuscito a mettere un’impronta:  lascia in eredità un nuovo carattere tipografico per il giornale, il celebrativo "Eugenio" (dal nome di Scalfari), e un inserto culturale della domenica, Robinson, che accontenta gli orfani di Mercurio e del resto della grande supplementistica anni ’80.

Ora il futuro si chiama Carlo Verdelli, che arriva col passo felpato e discreto di un Alessandro Natta. Già direttore editoriale per l’offerta formativa in Rai, anche Verdelli non è certo nuovo nel tempio scalfariano: con Repubblica, infatti, ha collaborato dal 2013 al 2015, prima di passare a viale Mazzini.

Nel corso della sua carriera Verdelli ha già vissuto un picco massimo, negli anni alla direzione della Gazzetta dello sport, dal 2006 al 2010. Con la rosea, dopo la vittoria dell’Italia ai Mondiali di calcio del 2006, stabilì il record di vendite per un quotidiano. Se Calabresi è riuscito a mettere un argine all’emorragia di copie vendute, probabilmente ci si aspetta che con Verdelli cominci la risalita.

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