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Clivati licenzia i 58 operai di Ottana Polimeri: una Morte Annunciata. Ecco il documento che segna la fine della Produzione del Pet in Sardegna

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OTTANA. Alla fine, dopo anni di circumnavigazioni attorno alla realtà, di silenzi pesanti, di gridi inascoltati, di proclami vuoti e di insensate distorsioni, il giorno della verità è arrivato e con lui sono cadute platealmente tutte le retoriche: i 58 lavoratori di Ottana Polimeri sono stati licenziati.

Ufficialmente, con un documento sottoscritto ieri mattina presso la sede della Confindustria di Nuoro e che alleghiamo integralmente, si è posta la parola FINE ad un calvario consumatosi sotto gli occhi impassibili di molti.

Oggi si parla di “tragedia” come se non fosse annunciata, mistificando, ci sentiamo di dire, una storia che è la cartina di tornasole delle modalità di governo di quella che fu la Zona Industriale di Ottana-Bolotana e, più in generale, di un Centro Sardegna saccheggiato ed impoverito che annaspa nel suo “crollo controllato”: le responsabilità sono di tanti, di troppi, ma tutti fingono, oggi come ieri, di non vedere, di non capire e, soprattutto, di non esserne parte in causa.

Paolo Clivati, imprenditore giunto ad Ottana tra file osannanti di politici, sindacati e associazioni varie a “salvare” la Produzione del Pet, messa in crisi dal prezzo fuori dal Mercato dell'Energia (170 Euro/MW) che lo stesso Clivati, proprietario anche della Centrale Termoelettrica di Ottana Energia, faceva pagare alla Multinazionale americo-kuwaitiana Equipolymers ( fino al 2009 proprietaria dell'impianto), ieri non si è neppure presentato all'incontro.

A rappresentare la società, su delega dell'A.D., Giorgio Asuni, lo stesso che nel Febbraio del 2015 aveva sostenuto, in un documento appeso all'ingresso della fabbrica, che il nostro portale territoriale IlMarghine.net traeva “conclusioni assolutamente fantasiose e prive di razionalità oggettive” e che addirittura era evidente "l'intenzione di insinuare tra i lavoratori il seme della discordia, creare nervosismo e diffidenza sul NULLA!!!”, in quanto ci eravamo permessi di scrivere che la multinazionale Indorama, proprietaria insieme a Clivati di Ottana Polimeri, avesse tagliato fuori il Sito di Ottana dalle sue strategie di businnes del 2015 mentre investiva in altre zone d'Europa.

A guardarla oggi possiamo dire che sono i fatti ad averci dato purtroppo ragione, visto anche che Indorama, chiamata in causa in tutte le sedi istituzionali possibili, non si è mai presentata (se non nella figura dello stesso Clivati) per dare conto delle intenzioni produttive nella fabbrica del Pet Sarda e che tutti sono rimasti ad attendere invano un responso.

Della lotta portata avanti dagli operai, che hanno tentato in ogni modo in questi lunghi anni di agonia di farsi ascoltare, di spiegare le ragioni per cui quella produzione, unica in Italia, non poteva essere dismessa, che hanno contestato i loro stessi Sindacati, che sono arrivati persino a rifiutarsi di rilasciare dichiarazioni ad una importante emittente televisiva regionale per non essere usati come bandiera per l'ennesima richiesta di Essenzialità per la Centrale, oggi rimane il retrogusto amaro di una guerra combattuta fino all'esaurimento delle forze, in solitudine, ed infine perduta.

A loro, agli ultimi operai di un'industria calata dall'alto con un progetto “ ad orologeria”, a scadenza programmata, ora qualcuno dovrebbe spiegare non solo cosa è successo prima e chi lo ha determinato e permesso, ma anche cosa c'è dopo la parola “Licenziamento”. E poi, non solo a loro ma a tutti noi, qualcuno dovrebbe dire chiaramente quanti soldi pubblici è costato questo disastro politico-imprenditoriale.

Dal 2014, quel disastro era sotto gli occhi di tutti, ma si è continuato a fingere che così non fosse.

Altro che conversione a Carbone della Centrale per far ripartire le produzioni ( sostenuto da tutti ed eccezione di Comune di Ottana e Coldiretti), altro che Biopolimero: alla fine i nodi sono tornati al pettine ed il vuoto progettuale che da tempo si intravvedeva si è palesato in tutta la sua reale portata.

Lavoratori giovani e altamente specializzati mandati a casa e speranze di lavoro svanite nel nulla: è la morte di un'area industriale spremuta fino all'osso, la fotografia nitida di una industrializzazione pesante che ha concluso il suo ciclo.

Per terra, i “cadaveri”, simbolici ma anche reali: il prezzo da pagare per un sogno frantumato.  

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