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Cyberbullismo, ora c’è la legge

Approvato il testo dedicato a Carolina Picchio

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Nel nome di Carolina. Ma anche di Tiziana. E di tante altre e altri, giovanissimi e fragili, che dal gorgo di Internet non sono più riusciti ad emergere.

Questa mattina è stato approvato all’unanimità a Montecitorio, e in via definitiva, il disegno di legge che combatte la nuova piaga del cyberbullismo, proiezione virtuale del malessere e del disorientamento giovanili.  Con 432 voti favorevoli e una sola astensione il testo diventa legge, al termine di un iter parlamentare che lo ha visto passare in prima lettura al Senato (era il 20 maggio 2015), e quindi subire delle modifiche alla Camera (20 settembre 2016), per poi ricevere nuovamente il nulla osta da Palazzo Madama con altri decisivi ritocchi (31 gennaio 2017).

Oltre che per aver fatto l’en plein di consensi nella camera bassa del Parlamento italiano, l’approvazione di questa legge passerà alla storia anche per un altro fatto: in modo non conforme al mos,  la nuova risorsa in mano al giurista potrebbe non prendere il nome dal parlamentare che l’ha proposta, ma dalla persona a cui è dedicata. Se infatti finirà con l’essere conosciuta come "legge Picchio" è perché, come lascia intendere anche la presidentedella Camera, Laura Boldrini ,nell’annunziare una tale inedita scelta  di eponimia, c’è la volontà di legare  strettamente il provvedimento alla memoria di una delle vittime del cyberbullismo: Carolina Picchio, la quattordicenne di Novara che nel 2013 si suicidò, gettandosi dalla finestra della sua casa, poco tempo dopo aver subito una violenza di gruppo debitamente filmata e diffusa in rete.   

Che cosa prevede la legge? Il testo trasmesso dal Senato e recepito dalla Camera senza obiezioni stabilisce innanzitutto una distinzione fondamentale tra il bullismo classico (cioè quello offline) e il cyberbullismo, considerato come fenomeno avente natura e tratti caratteristici del tutto peculiari.  Per contrastarlo la via suggerita, accantonata ogni misura di tipo repressivo, è quella della prevenzione educativa.

Il fine è di aiutare i ragazzi a prendere coscienza per tempo che divertirsi in rete a spese della reputazione di qualcuno non è un gioco, e che uccidere psicologicamente una persona è praticamente l’anticamera della sua uccisione fisica. Così, Stato e scuola cercano di fare la propria parte; ma il resto della battaglia contro la noia e il mal di vivere  che serpeggiano nelle giovani generazioni spetta, naturalmente, alle famiglie.

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