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"365 giorni senza Giulio". Un anno dopo non c'è ancora la verità sulla morte del giovane ricercatore

Gli ultimi sviluppi risalgono a qualche giorno fa con la pubblicazione di un video nel quale si vedono discutere Regeni e il capo del sindacato degli ambulanti del Cairo che lo ha denunciato

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E’ passato un anno dalla scomparsa e dalla morte di Giulio Regeni. 365 giorni che non hanno fatto piena luce su chi abbia materialmente ucciso il giovane ricercatore italiano e chi siano i mandanti dell’omicidio. Sulla morte di Regeni di chiaro al momento ci sono solo il luogo del ritrovamento, il modo orribile in cui è morto, il coinvolgimento del capo del sindacato degli ambulanti del Cairo e di apparati di sicurezza egiziani, i tentativi di depistaggio di questi ultimi e la scarsa collaborazione del Governo di Al Sissi. I dettagli su tutti questi elementi, sulla tempistica, sui nomi e su quale sia il livello di coinvolgimento delle forze di intelligence e sicurezza egiziane non è ancora chiaro.
Giulio Regeni un anno fa si trovava al Cairo, presso l’Università Americana, per delle ricerche sui sindacati indipendenti egiziani dopo le rivoluzioni del 2011 e stava anche conseguendo un dottorato al Girton College dell'Università di Cambridge. 

La sera del 25 gennaio 2016  si persero le sue tracce. Aveva un appuntamento con degli amici al quale non è mai arrivato. Nei giorni seguenti gli amici lanciarono un appello via social per ritrovare il ragazzo con l’hashtag #whereisgiulio. Il 6 febbraio 2016 il corpo del ragazzo fu ritrovato lungo la strada che dal Cairo porta ad Alessandria. Immediatamente la polizia parlò di incidente stradale come causa della morte e in seguito avanzò addirittura l’ipotesi di omicidio a sfondo sessuale attribuibile ad una relazione omosessuale di Regeni. 

L’autopsia condotta dalle autorità egiziane e in seguito da quelle italiane dimostrarono entrambe che Giulio Regeni prima di morire era stato sottoposto a diverse torture che ne hanno causato la morte. Nonostante queste evidenze le forze di polizia egiziane continuarono a sostenere altre ipotesi come l’omicidio a sfondo di rapina o di droga. Il 24 marzo 2016 i documenti di Regeni furono trovati in possesso di una banda di quattro rapinatori, tutti uccisi in un blitz della polizia, ritenuta responsabile del rapimento e dell’uccisione del ragazzo. Successivamente la stessa procura dei Cairo ha smentito tale ipotesi.

Da subito il governo egiziano si disse disponibile a collaborare con la magistratura italiana per fare luce sulla vicenda, ma i magistrati egiziani per mesi hanno fornito agli inquirenti italiani dati parziali e frammentari fino a negare l’utilizzo dei tabulati telefonici per ricostruire gli ultimi spostamenti di Regeni. Il governo di Al Sisi, inoltre, ha sempre continuato a negare ogni possibile coinvolgimento delle forze di sicurezza e spionaggio egiziane anche se in seguito è emerso che già nei primi giorni di gennaio Regeni era tenuto sotto stretta osservazione da parte della polizia.

Nelle relazioni tra il governo italiano e quello egiziano non sono mancati diversi momenti di forte tensione, anche se l’esecutivo italiano non ha mai rotto del tutto le relazioni diplomatiche col Cairo. Ad aprile la polizia egiziana arrestò il consulente legale egiziano della famiglia Regeni, Ahmed Abdallah, accusandolo di attività sovversiva e nello stesso mese il vertice tenutosi a Roma tra gli investigatori italiani ed egiziani fu ritenuto deludente tra questi ultimi. In questa occasione l’allora Ministro degli Esteri richiamò l’ambasciatore italiano al Cairo, Maurizio Massari, come segno di pressione sull’Egitto per le scarse informazioni ottenute durante il vertice. Tuttavia a maggio 2016 il governo italiano, nel momento in cui sostituì l’ambasciatore Massari con Gianpaolo Cantini, riprese le relazioni diplomatiche con l’Egitto. Nei mesi anche da parte dell'università presso la quale Regeni svolgeva il dottorato c'è stata scarsa collaborazione e in più di un'occasione l'ateneo ha declinato ogni responsabilità sulla sicurezza di Regeni mentre svolgeva l'attività di ricerca. 

La svolta decisiva sul caso era arrivata a settembre, quando fu accertato che Mohamed Abdallah, capo del sindacato degli ambulanti del Cairo con Regeni era in contatti, denunciò agli inizi di gennaio il ricercatore italiano e fornì alla polizia informazioni su tutti i suoi movimenti. Abdallah, dopo aver negato ogni relazione con il rapimento e la morte di Regeni, a metà dicembre 2016 ammise il suo coinvolgimento rivendicando anche di essere una spia della polizia, coinvolgimento ammesso in seguito dalla stessa procura egiziana.

Negli ultimi giorni ci sono stati importanti sviluppi. Il 22 gennaio 2017 una tv egiziana ha trasmesso il video di una conversazione tra Regeni e Abdallah avvenuta il 6 gennaio 2016 nella quale si vedono i due discutere animatamente. La polizia del Cairo smentisce il suo coinvolgimento nella registrazione, ma gli investigatori italiani sostengono, invece, una qualche relazione con l'attività di spionaggio.

Dopo 365 giorni, dunque, tutti i frammenti sulla vicenda non sono ancora andati al loro posto nonostante il forte impegno della società civile e della stessa famiglia di Giulio Regeni che da un anno continua a chiedere verità e giustizia per il ragazzo. Dopo gli ultimi sviluppi resta anche da capire in quale direzione si muoverà il Governo Italiano affinchè tutta la verità venga fuori una volta per tutte, anche a prescindere dagli interessi geopolitici ed economici tra l'Italia e l'Egitto. 

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