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Trump: un altro passo verso la Casa Bianca

Il 19 dicembre i grandi elettori lo hanno eletto formalmente come nuovo Presidente degli Stati Uniti. Ora manca solo il giuramento.

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Il 19 dicembre scorso il “Presidente – eletto” Donald Trump ha fatto un altro passo nel suo percorso di insediamento alla Casa Bianca. 


Il Collegio Elettorale, l’organo costituzionalmente deputato alla elezione del Presidente degli Stati Uniti, ha ratificato i voti dei delegati eletti lo scorso 8 novembre 2016. Su 306 grandi elettori di Trump in 304 hanno votato per il magnate di New York mentre la Clinton ha ricevuto 227 voti su 232 designati per lei. Nel conteggio, dunque, sono mancati 5 voti alla Clinton e 2 a Trump così distribuiti: 3 al repubblicano Colin Powell, 1 al democratico Bernie Sanders e 1 a testa ai repubblicani John Kasich e Ron Paul.

I grandi elettori non si sono riuniti in un’unica sede ma hanno espresso il loro voto nella capitale dello Stato per il quale sono stati designati e il Collegio Elettorale lunedì ha solo ufficializzato i voti complessivi per i candidati. Il voto ad altri esponenti politici apparentemente sembra una contraddizione, ma i sistemi elettorali dei singoli Stati Usa possono prevedere che i grandi elettori votino anche per un candidato diverso da quello per il quale sono stati eletti e solo 26 di essi su 51 vietano questa possibilità o prevedono sanzioni per i delegati "disobbedienti".  

Lo stesso giorno Trump ha commentato la notizia su Twitter polemizzando ancora una volta con i media accusati di distorcere la realtà sulla sua elezione. Il New York Times, ad esempio ha pubblicato diverse statistiche con le quali fa notare che Trump è al 46° posto su 58 per il consenso ricevuto dal Collegio Elettorale e al 47° su 49 per lo scarto tra voto popolare e voti elettorali. Con questi dati il quotidiano della Grande Mela avrebbe voluto ridimensionare il valore politico dell’elezione di Trump che ha vinto con meno “voti popolari”  e diretti della Clinton. L’8 novembre, infatti, Trump ha preso solo il 46% dei voti mentre la Clinton ne ha raccolti il 48%. Anche quest’altra contraddizione trova la sua spiegazione nel complesso sistema elettorale americano che assegna i grandi elettori non in modo percentuale ma in blocco per singolo Stato: chi vince anche con poco margine in uno stato prende tutti delegati e nella conta finale, dunque, può accadere che i due risultati (voto popolare e delegati) siano ribaltati.

Questo fatto è comunemente accettato sul piano istituzionale, anche vista la natura federale degli Stati Uniti, ma politicamente fa scendere il prestigio di un Presidente che nei fatti “ha perso” tra gli elettori. Non a caso l’ultimo Presidente eletto con meno voti popolari fu George W. Bush i cui risultati in politica estera e militare non hanno brillato mentre gli altri casi simili si sono verificati solo nell’Ottocento.

Ovviamente Trump contesta questo dato e già il 27 novembre sempre su Twitter aveva scritto: “In addition to winning the Electoral College in a landslide, I won the popular vote if you deduct the millions of people who voted illegally”. Secondo il "Presidente – eletto", dunque, se si sottraessero i milioni di “voti illegali” al totale la sua vittoria sarebbe netta anche tra gli elettori. Resta da capire, però, quali sono questi “voti illegali” visto che lo stesso Trump non ha chiesto il riconteggio e, considerate le sue posizioni in tema di immigrazione,   si riferisce molto probabilmente agli elettori di origine straniera.

I passaggi più delicati per la sua elezione tuttavia sono ormai alle spalle e a Trump mancano solo altre due procedure più che altro formali: la ratifica del voto del Collegio Elettorale da parte del Congresso il 6 gennaio e il successivo giuramento il 20 gennaio 2017. Dopo quella data inizierà anche formalmente l’”era Trump” che sta già riservando non poche sorprese, polemiche e preoccupazioni. 

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