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MASK OF WARS DI MARIO COBÀS: UN OMAGGIO A SALVADOR DALÌ

OPERA ISPIRATA E DEDICATA A IL VOLTO DELLA GUERRA DI SALVADOR DALÌ

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Mario Cobàs aggiunge un nuovo tassello al suo percorso artistico con un’opera pittorica "Mask of Wars" realizzata a pastelli colorati, ispirata e dedicata a Il volto della guerra di Salvador Dalí (eseguita nel 1940). In questa composizione, Cobàs riprende l’iconografia di Dalí, trasformandola in una riflessione sulla realtà attuale, in cui le guerre continuano a insanguinare il mondo. L’artista, noto per la sua indagine sulla frammentazione dell'immagine e sull'inconscio, unisce memoria storica e denuncia contemporanea in un’opera che colpisce per la sua forza simbolica ed espressiva. Il rimando all'opera di Dalí è immediato, la testa umana mozza, con teschi incastonati nelle orbite, nella bocca e nel cranio, evoca l’orrore infinito e ciclico della guerra, tema centrale nel dipinto del maestro surrealista. Tuttavia, Mario Cobàs non si limita a un esercizio di citazione; la moltiplicazione dei teschi rappresenta una metafora potente della violenza, come se fosse parte intrinseca della condizione umana. Cobàs amplifica l’intensità dell’immagine aggiungendo nuovi elementi simbolici,  un serpente che striscia sulla sabbia evoca, non solo il veleno e la minaccia, ma anche l'idea di una natura che partecipa, come spettatrice indifferente, al dramma umano. Il paesaggio desertico in cui si colloca la testa accentua il senso di desolazione e isolamento, un luogo simbolico dove si consuma l’eterno conflitto dell’umanità con sé stessa. L'opera pittorica di Mario Cobàs intitolata "Mask of Wars"  da una lettura contemporanea delle guerre attuali e, a differenza di Dalí, che nel 1940 affrontava l’orrore della guerra mondiale, Cobàs si rivolge alla frammentazione delle guerre contemporanee. Dalla crisi in Medio Oriente ai conflitti in Africa e Europa  fino alle tensioni geopolitiche su scala globale, l’artista denuncia l'attuale presenza della violenza nei rapporti umani e internazionali. L’uso dei pastelli colorati, delicati ma incisivi, crea un contrasto sorprendente con la brutalità del soggetto rappresentato; questa scelta tecnica conferisce all’opera una qualità quasi onirica, ma non meno disturbante, amplificando il messaggio di denuncia. La morbidezza del medium tradisce, infatti, la durezza del contenuto, rendendo l’opera un paradosso visivo che costringe lo spettatore a un confronto diretto con il mondo attuale. L’opera si inserisce pienamente nella ricerca artistica di Mario Cobàs, centrata sul tema della frammentazione. La testa, sezionata e abitata da un infinito gioco di ripetizioni, diventa un simbolo universale: l’uomo è al tempo stesso vittima e carnefice, intrappolato in un ciclo senza fine di distruzione. Il rimando all’inconscio è evidente, i vari teschi, suggeriscono una discesa nei meandri della psiche collettiva, dove risiedono le paure ancestrali e gli impulsi di morte. L'artista riesce a trasformare l’orrore in arte, non con l’intento di sublimarlo, ma di amplificarne il messaggio. L’opera non offre consolazione, ma una rappresentazione spietata della condizione umana, in linea con le sue riflessioni sull'inconscio e sull’identità frammentata. Con questa opera, Mario Cobàs non solo rende omaggio a Salvador Dalí, ma ridefinisce il tema della guerra in chiave contemporanea, unendo memoria storica e urgenza attuale. La forza visiva e simbolica del dipinto lo colloca tra le creazioni più significative del suo percorso artistico, dimostrando ancora una volta la capacità dell’arte di interrogare e scuotere le coscienze. In un mondo segnato da conflitti incessanti, l’opera di Cobàs si erge come un monito e una denuncia, un invito a riflettere sull’assurdità della violenza e sulla necessità di spezzare il ciclo della distruzione. Nota critica del Prof. Mario Carchini, docente dell'Accademia Statale di Belle Arti di Carrara.

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