Arpagone è, nel complesso, un personaggio entrato nell'immaginario collettivo di ciascuno di noi, tutti, quando ci imbattiamo in una persona morbosamente attaccata ai soldi, pensiamo a questa figura creata da Molière a sua volta ispirato al Plauto del Teatro Romano.
Il segno è evidente: possono cambiare gli usi e i costumi, le religioni e i confini, i governi e le anarchie, ma i sentimenti, quelli no.
Il regista (Luigi Saravo) dell'Avaro andato in scena ieri al teatro Quirino di Roma, ha valorizzato ancora di più questo pensiero creando un connubio di classicità e contemporaneità .
Arpagone (interpretato da un tirchissimo quanto subdolo Ugo Dighero) veste come noi, ha una casa moderna con luci e vetrine mobili come scenografia, ma parla di cavalli (ai quali, ovviamente, non dà da mangiare perché "escono pochissime volte in un mese e quindi non faticano"), di scudi e lire come moneta corrente, di dote per la figlia in età da marito e di servitù e stallieri, eppure, durante i suoi spericolati sforzi per tenere con sé tutto il suo denaro, compreso un forziere che tiene nascosto segretamente in una botola nel terreno del suo giardino, ogni tanto si manifesta un coro angelico (video-proiettato) che decanta i vantaggi di investimento e finanziamento con il tan inesistente e il taeg bassissimo, i prezzi comprensivi di iva e lo sconto applicato.
Il contrasto tra passato e presente non è spiacevole ma fa ridere, e riflettere, maggiormente.
La trama è un misto di equivoci, sotterfugi, imbrogli e prese in giro. Si ride come ad ogni rappresentazione di Molière si dovrebbe fare.
Forse, l'Arpagone di Dighiero è un po' più cattivo e meno ingenuo di quello del '600 francese, si avvicina più ad un personaggio del teatro shakespeariano, ma d'altronde, i tempi cambiano e consumismo e cinismo non fanno altro che aumentare i più reconditi vizi dell'uomo.
Se nel '600 possedere 10mila scudi si poteva considerare una fortuna, oggi i numeri sono ben diversi.
I figli di Arpagone Cleante (Fabio Barone) ed Elisa (Elisabetta Mazzullo) sono le vittime principali dell'Avaro che non ha pietà per nessuno pur di non separarsi dalla verghiana "roba", sono innamorati e non hanno le risorse a disposizione per mettere su famiglia perché il padre non scuce uno scudo, anzi, dichiara con lucida follia di non avere un soldo in tasca, ma in realtà presta soldi a strozzo e dopo una serie di rocamboleschi passaggi, si scopre che tramite un sensale, proprio Cleante chiederà dei soldi ad un donatore con un modestissimo tasso al 26%, per poi scoprire che il donatore è proprio suo padre, da lì un'altra serie di risate e combattimenti famigliari all'ultimo grido.
Molière è più contemporaneo che mai, le sue maschere sono intramontabili e la messa in scena "quasi" attuale con selfie e spread lo avvicina ancor di più alla nostra epoca perché, forse, nulla è mai cambiato. L'avaro vi aspetta al teatro Quirino di Roma fino al 22 dicembre.
(Foto teatroquirino.it)

