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Il cinema e la Shoah

Kapo di Gillo Pontecorvo raccontato da Gianluca Ottuso

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Il cinema sulla Shoah è un cinema di fondamentale importanza etica, storica e culturale; esso è un cinema di memoria, per non dimenticare, per cercare ancora di capire, per guardare al passato e riflettere con oculata accuratezza sulla speranza di non commettere gli stessi errori nel futuro.

L'onta della follia dell'uomo nell'attuare un olocausto non può e non deve essere dimenticata, ma deve vivere nel ricordo delle generazioni attuali e quelle future attraverso lo studio accurato della storia, attraverso il “tramandare”mediante un libro, una poesia, un racconto, una canzone, una “dedicata”musica, attraverso infine, l'arte nel fare cinema. Il cinema ha rappresentato la follia dell'olocausto in diverse opere a volte accurate trasposizioni di storie realmente accadute, a volte romanzate, a volte trattate con forte dramma, a volte trattate con giusta e intelligente ironia, ma sempre e comunque in tutti le forme che si sono adoperate, il cinema ha sempre saputo produrre attraverso il grande schermo, un prodotto di qualità medio-alta, dove non esiste pantomima ne retorica, ma solo memoria e riconducibilità storica. Gli esempi di questo cinema sono innumerevoli, potremmo ricordare: “Il diario di Anna Frank” di George Stevens (1959), “L'uomo del banco dei pegni” di Sidney Lumet (1964), “Il negozio al corso” di Jan Kadar e Elmar Klos (1965), “La scelta di Sophie” di Alan J.Pakula (1982), “Arrivederci ragazzi” di Louis Malle (1987), “Schindler's list” di Steven Spielberg (1994), “La vita è bella” di Roberto Benigni (1997), “Il pianista” di Roman Polanski (2002), “Rosenstrasse” di Margarethe von Trotta e Danielle Schmidt (2003), “Il bambino col pigiama a righe” di Mark Herman (2008), ”In Darkness” di Agnieszka Holland (2011) e tantissimi altri, tutti vincitori di premi e riconoscimenti culturali, amati e rispettati nella loro concezione da critica e pubblico. Oggi in occasione di questa “dovuta” e fondamentale commemorazione parlerò di un vero è proprio gioiello cinematografico, un opera nostra italiana, il ritratto sull'olocausto di Gillo Pontecorvo: “Kapo”.


KAPO di Gillo Pontecorvo

Dopo diversi documentari di ottima manufattura, alcune prove d'attore, e diverse esperienze come assistente alla regia ed una buona e riuscita opera prima (La grande strada azzurra-1957), Pontecorvo arriva nel 1959 alla realizzazione di un grande film, vera e propria pietra miliare del nostro “invidiato” grande cinema italiano, esce nelle sale: “Kapo”. Il film narra la discesa repentina all'inferno di una giovane adolescente ebrea(Edith) di appena quattordici anni che dalla Parigi nella quale vive e studia pianoforte si ritrova catapultata nel campo di sterminio di Auschwizt. Qui grazie all'aiuto di un medico riuscirà a cambiare identità indossando i panni di una ladra francese morta e passerà nel gruppo delle donne criminali, nascondendo e cambiando la sua identità ebrea in quella nuova di Nicole Niepas. La “nuova” Nicole assisterà subito all'ultima passeggiata dei suoi denudati genitori verso la morte rimanendone vistosamente scioccata, ma riuscirà sotto le nuove mentite spoglie a farsi trasferire dal campo di sterminio di Auschwitz ad uno un po più sicuro polacco. Nel nuovo campo di concetramento Nicole subirà mano a mano una metamorfosi, la paura della morte e l'accettazione dell'orrore più assoluto la porteranno a diventare cinica e spietata fino ad arrivare a meritarsi i gradi di kapo.

Le donne kapo erano le guardiane attente e malvagiamente scrupolose al servizio delle SS, nel governare, punire e denunciare le prigioniere dei campi nazisti. L'arrivo al campo di un folto gruppo di prigionieri di guerra sconvolgerà ,attraverso il soldato russo Sascha (un bravissimo Laurent Terzieff),di nuovo l'esistenza e l'animo di Nicole, che dopo aver rischiato di far uccidere lo stesso perchè denunciato alle SS, se ne innamorerà e incomincerà in lei il risveglio di coscenza divina da tempo ormai perduto e offuscato dalla barbaria nazista. Tra i due nascerà un vera e ovviamente nascosta, storia d'amore tanto che Nicole aiuterà Sascha nell'attuazione del piano di fuga di tutti i prigionieri, uomini e donne, del campo avvalendosi della sua figura di kapo nel potersi avvicinare alla cabina elettrica per poter staccare la corrente dell'alta tensione del recinto del campo di concentramento. Ma questo le costerà la vita e in piena consapevolezza Nicole si recherà alla cabina elettrica pur sapendo che una volta compiuta la missione, suonando la sirena d'allarme, la sentinella farà fuoco su di lei uccidendola con una raffica di mitra. L'opera magnifica di Pontecorvo sta tutta negli occhi espressivi della straordinaria Susan Strasberg nell'interpretare l'ebrea Edith/Nicole, in un magnifico bianco e nero abbinato ad una ricercata fotografia si muove l'opera del regista attento nella ricercata e riuscitissima caratterizzazione dei personaggi, nell'uso della luce e del sonoro abbinato ad una azzeccata colonna sonora.

Gli attori sono tutti al loro massimo picco recitativo, in particolare Emanuelle Riva in pieno stato di grazia ci delizia in un interpretazione unica ed esemplare. La scena della sua morte suicida sul reticolato dell'alta tensione fu al centro di scandalo e polemica da parte di un famoso critico cinematografico francese nei confronti del regista Gillo Pontecorvo che fu accusato di troppa spettacolarità nel rappresentare codesta morte. Resta il fatto che “Kapo” è uno dei film più belli sulla Shoah e allo stesso tempo del cinema italiano, la parabola nera della Strasberg da vittima a carnefice fino a diventare martire è da antologia del cinema e nelle ultime battute le bravissima attrice si farà strappare le mostrine naziste recitando nella sua agonia pre-morte ”E' illuminata la terra d'Israele, Dio è Israele...”, mentre il soldato Sascha non potrà in mezzo ad un mare di cadaveri che urlare la sua rabbia e il suo dolore, un vero e proprio capolavoro da recuperare in tutta la sua affascinante bellezza.

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